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lunedì 18 novembre 2013

Alghero - Fine Ottocento



Il porto di Alghero nel 1800
Immagine tratta dal  libretto della mostra "Il Porto di Alghero nell'Ottocento" allestita ad Alghero nella Torre di San Giovanni il 18 dicembre 1993.

La ricerca che sto conducendo sulla famiglia Ceravola di Alghero mi ha portato ad approfondire alcuni aspetti della vita cittadina dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Ritengo che il seguente articolo sia di grande interesse per inquadrare il profilo economico di quel periodo e per spiegare, almeno parzialmente, il gran numero di bambini che morivano in seno alle famiglie in quegli anni e l'alto numero di bambini abbandonati e lasciati alla ruota. Sono venuta a  scoprire una grave crisi che privava le persone perfino di quel minimo necessario per sopravvivere. E, anche allora, il Governo si mostrava aguzzino e complice nell'emarginare i più deboli.

Il seguente articolo è tratto interamente dalla pubblicazione di "100 Anni della Nostra Storia" che "La Nuova Sardegna" stampò nel 1992 per celebrare il centenario del giornale che divenne quotidiano il 17 marzo 1892.

ALGHERO APRE ALL'EMIGRAZIONE

Ad Alghero la sorte accordò un privilegio non lieto: quello di offrire, negli ultimi anni del secolo scorso, un apporto vistoso – probabilmente il primo – all'emigrazione sarda, flusso che, dapprima di entità esigua (una media di 144 partenze l'anno fra il 1880 e il 1890, di 660 partenze l'anno fra il 1890 e il 1900), si sarebbe andato ingrossando via via, fino ad assumere una consistenza rilevante nei primi due decenni di questo secolo. Non fu, è certo, il fenomeno di massa che in altre regioni lasciò disabitati i paesi, deserte le campagne. Era però paradossale, poiché in Sardegna la densità della popolazione – una trentina di abitanti per chilometro quadrato – era la minore d'Italia. Si fuggiva da una regione già di per sé spopolata, le cui risorse non bastavano a nutrire coloro i quali avevano la ventura d'esservi nati e di vivervi.
"Ieri – riferiva «La Nuova Sardegna» il 4 agosto 1897 – partiva da Porto Conti la terza spedizione di emigrati, composta da 48 famiglie rappresentanti 238 individui, dei quali 117 al di sotto dei dieci anni. Si imbarcarono sul piroscafo 'Capraia', appositamente noleggiato, giunto da Genova alla mezzanotte di ieri. Questo li porterà a Cagliari, d'onde verranno trasbordati sull' 'Attività' che li condurrà in Brasile. La partenza degli emigrati non era vicenda alla quale la città restasse estranea: 'Già da sabato si notava in Alghero un tramestio insolito, era un andirivieni di carri che trasportavano alla banchina le poche masserizie degli emigranti, quelle che non erano riusciti a vendere, o che giudicavano indispensabile avere con sé. Si vedevano per le vie gruppi di uomini, attorno ai quali la folla faceva cerchio. Il tema dei discorsi era l'imminente partenza."

Le immagini che affiorano nel lungo racconto sono quelle che la densa letteratura che ha per argomento l'emigrazione dalla metà del secolo scorso ha reso familiari: 'Dopo la mezzanotte la triste carovana si mise in moto per Porto Conti. Era un lungo convoglio di carri a buoi ed a cavallo. I più seguivano a piedi (…) Attorno alla cantoniera erano circa seicento persone, quasi tutte popolani. Pareva ci si fosse fatto un grande bivacco. Tutti avevano il viso scialbo per la notte insonne e per l'emozione che li dominava. Le donne in ispecie, accoccolate intorno ai fuochi i cui ultimi tizzi si spegnevano, avevano gli occhi arrossati dal pianto (…) Alle sette gli emigranti cominciarono ad imbarcarsi (…) Alle dodici l'imbarco era finito. Il capitano e l'agente d'emigrazione allora li fecero passare tutti a poppa e poi sfilare un'altra volta, famiglia per famiglia, per controllare il numero e l'identità dei partenti.' 

la seguente tabella mostra la consistenza dell'emigrazione negli anni 1896 e 1897.


Data
Numero famiglie
Numero persone
Media persone per famiglia
05/08/96
9
40
4,44
03/06/97
24
128
5,33
03/08/97
48
238 
4,96
20/08/97
30
136
4,53
TOTALI
111
542
4,88


In realtà alla spedizione del 20 agosto parteciparono intere famiglie di Villanova, Usini, Putifigari, Mara, Padria e Pozzomaggiore, ed altre spedizioni sarebbero seguite.
Ma, al di là delle sofferenze individuali e dalla somma di drammi che la vicenda dell'emigrazione comportava, sarà utile tentar di capire quali, in concreto, fossero le forze che spingevano ala fuga da luoghi nei quali non esisteva più speranza.
«Pare inesplicabile – osservava “La Nuova Sardegna” il 5 agosto – l'emigrazione degli algheresi, perché sono ben poche le città che possono contare sulle risorse del mare e sulle risorse della terra. Una città favorita dalla natura come Alghero, con oliveti, vigne ed orti fertilissimi, con una marina incantevole quanto ricca di pesci, dovrebbe trovarsi in condizioni di prosperità economica da destare invidia. Invece si va spopolando: la ventesima parte della sua popolazione è già partita; e se l'esodo continuerà progressivamente, fra un anno ad Alghero rimarrà popolata solo la casa di pena, dove ci saranno forse più galantuomini di quelli che cagionarono la prostrazione della patria.
Perché – si chiedeva il giornale – emigrano gli algheresi?»
E suggeriva una spiegazione: il sequestro e la vendita all'asta dei beni di coloro i quali non erano in grado di pagare le imposte. Era una spiegazione dl tutto ragionevole, poiché il fenomeno aveva larghissima diffusione. «In un solo elenco di subastati, fra i contribuenti di Alghero e di Olmedo, per 8.033 lire d'imposta si metteva all'asta una proprietà fondiaria del valore di lire 150.882. Col continuo indemaniamento, con l'inasprimento delle imposte, tutte le energie sono venute meno e la miseria è divenuta generale.»
Se tutto questo avveniva, vi dovevano essere responsabilità precise e non lievi del potere politico.
«Da molto tempo fu domandato un sollievo nell'imposta fondiaria, ed il governo ha continuato ad aumentare le spese. Da molto tempo furono invocate agevolezze nei trasporti, ed il governo ha continuato a badare solo alle importazioni aumentanti le entrate doganali. Da molto tempo furono invocati aiuti alle piccole industrie, ed il governo ha continuato ad occuparsi della questione d'oriente. Da molto tempo fu reclamata la bonifica delle terre oggi incolte, ed il governo ha continuato a studiare la colonizzazione dell'Eritrea.»

Ma al giornale, espressione di punti di vista della borghesia, sfuggivano altre importanti cause. I contadini si trovavano in una situazione di estrema povertà come fu evidenziato da indagini condotte dagli economisti nei primi anni del 1900. Il salario di uno zappatore nelle campagne di Sassari variava, a seconda delle stagioni, fra una lira e venticinque centesimi e una lira e settantacinque centesimi per un'intera giornata di lavoro che si protraeva anche per dodici ore. A Sassari, alla mattina, appena spuntava l'alba, i contadini si recavano in una delle tre piazze vicine alle antiche mura della città, nella cosiddetta “portha” ed esibiva l'opera sua ai proprietari o ai loro intermediari.

Ma vi erano braccianti agricoli che vivevano e lavoravano in condizioni anche peggiori, e dovevano accontentarsi di un massimo di una lira al giorno. Per i lavori più faticosi, come la trebbiatura o per quelli più specializzati come la potatura e la vendemmia, si andava delle due alle tre lire.  
Le donne e i ragazzi avevano una paga molto più bassa. I ragazzi erano pagati da 0,25 lire a 0,60, le donne da 0,60 a 0,75, o anche una lira per lavori particolarmente faticosi o che richiedevano speciali abilità. I reddito dei contadini era in gran parte dei casi insufficiente a soddisfare le necessità primarie della vita e l'agricoltura andava verso un progressivo impoverimento. Vaste estensioni di terra destinate a cereali erano lasciate incolte o tenute a pascolo perché la coltivazione del grano non rendeva più.
I Sardi allora emigrarono. Inizialmente andarono in Brasile, poi in Francia, nell'Africa mediterranea e infine in U.S.A. e in Canada. Da alcuni calcoli risulta che intorno al 1914 i sardi emigrati all'estero erano circa 80.000 e  i Sardi sparsi nella penisola erano 26.630. Allora la Sardegna contava 850.000 abitanti.
Fu una grande crisi che dal 1887 investì la Sardegna e colpì Sassari e Cagliari dopo una fase di rapida crescita economica, demografica ed urbanistica attuata tra il 1870 e il 1887. A tale situazione si può associare Alghero. Anche nella nostra città furono abbattute le mura che stringevano l'abitato e lo separavano dalla campagna circostante. Anche ad Alghero la borghesia abbandonò i palazzi del centro storico per costruire le nuove dimore al di là delle vecchie mura e lungo il mare mentre le famiglie di contadini, pastori e pescatori si ammassavano nei sòttani e nei vecchi palazzi ormai fatiscenti dove vivevano in spazi ristretti, senza aria e senza luce, in condizioni igieniche precarie. E poi arrivò la crisi. Dopo il 1887 si interruppe il processo di espansione urbanistica, l'attività edilizia dovette essere sospesa lasciando senza lavoro molte centinaia di operai.
Il giornale commenta: «Vennero poscia in questi ultimi anni, quasi contemporaneamente, le crisi finanziarie, la fillossera, la rottura dei trattati commerciali con la Francia, la mancanza e il rinvio dei nostri prodotti agricoli – dolorosa processione di mali – i proprietari si accasciarono sotto il peso delle imposte su beni divenuti improduttivi, i comuni languirono dissanguati dalle estorsioni del governo, e i lavori, le costruzioni, cessarono quasi ad un tratto, facendo sentire il contraccolpo di tante miserie più dolorosamente che ad ogni altro sulla massa dei lavoratori che vivevano alla giornata.









lunedì 26 agosto 2013

Monte Minerva



Domenica 25 agosto 2013 - h 17,56
Arriviamo alla Riserva naturale di Monte Minerva, come dice il cartello


Passeggiata a Monte Minerva, favorita dal fatto che queste giornate hanno una temperatura ideale.
Arrivati a Villanova Monteleone si prosegue verso Monteleone Roccadoria per raggiungere il Monte. Si posteggia presso Su Palattu. La prima salita è un po' ripida ma è resa piacevole dal viale alberato con conifere, pini, e cipressi molto alti. La strada si può percorrere agevolmente con l'auto quindi a maggior ragione è facile per chi vuole camminare.
La strada lunga 4700 metri ha estesi tratti pianeggianti e qualche dolce discesa. Ai lati si possono osservare lecci, qualche roverella, mirti, molti lentischi e pini.
Da notare grandi rocce scavate da pioggia e vento. Il panorama si spezza a volte contro altre alture oppure ci porta  molto lontano. Ai piedi vediamo una vallata che ospita allevamenti di ovini e bovini, punteggiati da alberi isolati e macchie scure tra il giallo dell'erba falciata.

La vallata dovrebbe essere Sa Cozzula, un'antica caldera vulcanica trasformata in valle dal passaggio del rio Trainu de Badde Muttiga.


Infatti Monte Minerva è un vulcano spento alto poco più di 600 metri. Come molte alture della Sardegna ha un profilo trapezoidale. Sulla sua sommità  si trova una vasta  zona piana. 


Tra le rocce un leccio è riuscito a crescere e sopravvivere.


Lungo la strada troviamo un percorso da trekking di 700 metri che porta sulla cima, superando un dislivello di 200 mt.




Al ritorno notiamo pigne di tasso sul viale di accesso al monte





Lungo la strada del ritorno troviamo alcuni asinelli molto socievoli che ci vengono incontro.



Ecco in lontananza Monteleone Roccadoria




Qui si vedono anche le case del paese.  (Foto 31.7.2011)


(Foto 31.7.2011)



Naturalmente il toponimo "Minerva" merita alcune considerazioni.
Anche Alberto della Marmora ne aveva osservato la stranezza e lo aveva elencato tra i nomi particolari riconducibili a denominazioni antiche insieme a Luna-Matrona, Martis, ed Erculentu.
Giovanni Francesco Fara (1586) dice che Minerva è centro posto "alle pendici di un altissimo monte dello stesso nome, le cui rovine vedonsi ancor oggi". Lo colloca nella regione Monteleone appartenente alla diocesi di Bosa.
Il canonico Angius dice che il territorio di Villanuova Monteleone è bagnato "dal Temo ed anche dal rio Minerva..." Inoltre dice che "I giusdicenti di Minotadas e di Minerva risiedono in Villanuova".
Parlando della provincia di Alghero Angius precisa che i tribunali sono costituiti ne' capoluoghi dei mandamenti. Quindi elenca i mandamenti e tra questi figura Minerva. Aggiunge che "..mancando Minerva di propri vassalli, cui si amministri la giustizia, per essere deserti i loro territori ... la loro giurisdizione non si esercita che in alcune occorrenze, dicendosi solo la ragione, quando trattisi di cose appartenenti a queste montagne o terreni denominati feudali, ovvero di delitti ivi commessi, o controversie tra i contadini che vi seminano, tra i pastori che abbiano preso in appalto i pascoli."
In seguito l'Angius elenca Minerva tra i dodici feudi compresi nella provincia di Alghero.
Da queste poche notizie si può dedurre che Minerva fosse un piccolo centro abitato, presumibilmente di età romana,  posto ai piedi del rilievo.
Già nel cinquecento era disabitato e in rovina e divenne un feudo senza abitanti.
Questo nome si ritrova anche ad Alghero perché c'è la Via Minerva o Vicolo della Minerva che prendeva il nome dai conti della Minerva, presumibilmente i feudatari della zona di Minerva.
Michele Chessa scrive: " Via Minerva ha preso il nome dai conti della Minerva che avevano una casa nella stessa strada ed erano imparentati con i nobili  De Arcajne e Maramaldo". 


Salvatore Colomo: Guida alla natura della Sardegna, Editrice Archivio Fotografico Sardo-Nuoro, 1992
Giovanni Francesco Fara: Geografia della Sardegna , Editrice Quattromori, 1975
Vittorio Angius: Città e villaggi della Sardegna del'Ottocento, Editrice Ilisso, 2006
Alberto della Marmora: Viaggio in Sardegna, Editrice Archivio Forografico Sardo-Nuoro, 1995
Michele Chessa: Racconti Algheresi, I volume, La Celere, 1976


Ecco ora gli appunti di una mia precedente escursione con i tempi di percorrenza e la descrizione della cima.
Monte Minerva - (Domenica 07.10.2001)
Partiti da Alghero alle ore 9. Arrivati ai piedi del monte alle ore 10, abbiamo iniziato a salire limitando al minimo il peso delle borse. C'era il sole e il forte caldo era mitigato dal vento. Siamo arrivati sulla cima alle ore 11,40 e poco dopo abbiamo mangiato. Quindi abbiamo visitato il pianoro. All'estremità c'era una stazione di pompaggio della sottostante diga del Temo. Tra la vegetazione abbiamo scorto due pernici che al nostro arrivo sono volate via. Un grande falco volteggiava sulle nostre teste.
Nei pressi c'era una piccola costruzione di legno con una veranda coperta, utile in caso di pioggia. C'era inoltre un tavolo di pietra con sedili e un grande serbatoio di plastica con il rubinetto contenente acqua. Il tavolo si trovava sotto un grande albero (leccio?) il cui tronco,  dritto alla base, si era piegato per la forza del vento e  faceva un angolo quasi retto. Le sue lunghe e folte chiome mandavano una grande ombra sul tavolo. Era l'unico albero maestoso dell'altopiano. Le altre piante, in prevalenza lecci e alcuni peri selvatici, erano più piccoli e stentati, tutti curvi nella direzione del vento. Vi era numerosa macchia mediterranea: mirto, cisto, grandi lentischi. Vi erano alcune piante di pino di una decina di anni.
Dai bordi dell'altopiano trachitico si vedevano alcuni paesi: Monteleone Roccadoria, Romana, Villanova, e in lontananza Ittiri. C'era anche una bella vista dell'invaso artificiale del Temo. La giornata era nuvolosa e non molto limpida.
Abbiamo preso un sentiero sulla sinistra e siamo arrivati ad un muretto che sbarrava una vecchia strada lastricata con pietre. Tornati indietro abbiamo percorso il sentiero centrale e siamo tornati al luogo dove avevamo mangiato. Alle 14,35 abbiamo iniziato la discesa. Le nuvole minacciavano pioggia e non abbiamo sostato. Ho raccolto alcune pietre stratificate di colore rosa salmone e rossiccio-marrone. Forse è marna. Le rocce del monte sono prevalentemente basalti neri e trachiti rosse. C'erano grandi massi precipitati dalla sommità. Potenti strati di roccia chiara delimitavano il sentiero. Sul pendio si notavano splendidi esemplari secolari di roverelle, lecci e sughere con chiome folte e articolate. Arrivati quasi alla base il viale è affiancato da maestose conifere messe a dimora da molto tempo. C'erano conifere con curiose pigne che sembrano quasi involucri del baco da seta, di colore chiaro grigio-verde, abeti con piccole pigne di colore marroncino chiaro in formazione, cipressi, pini con pigne da pinolo e altri con pigne dai pinoli più piccoli. Sulla destra, dentro al prato, c'è un esemplare di olivastro con una chioma enorme. Vicino al suo tronco c'è un masso.

domenica 18 agosto 2013

Nuraghi


Ittireddu: Nuraghe Funtana

Ittireddu. Nuraghe Funtana

"Muti e maestosi giganti si ergono sulle alture e nelle vallate. Il loro linguaggio è ormai affidato alle pietre che, una sull'altra, ripetono forme circolari in spirali che si restringono smpre più fino a chiudersi. Senza un inizio né una fine, l'immaginaria spirale sale verso il cielo, sempre più in alto.
Tutta la nostra scienza si scontra con indecifrabili quesiti e tutta la nostra volontà di conoscere si blocca di fronte ai megaliti che ci sovrastano. Cunicoli, nicchie, stanze, pozzi, antemurali, piombatoi, scale, tholos, feritoie ... oggi li abbiamo chiamati così. Come li chiamavano i nuragici? Come hanno potuto concepire una costruzione così ardita senza lasciare traccia dei disegni che senza dubbio sono stati indispensabili per procedere nella costruzione? E come un così esiguo popolo ha potuto trovare energia eccedente da dedicare a queste opere, e da chi ha mutuato la tecnica indispensabile? E a quale scopo ha riunito tanti uomini per un lavoro che non era di stretta utilità individuale, ma era rivolta ad una utilizzazione sociale o ad una élite? Un pesante silenzio sovrasta i macigni nuragici. A noi rimane l'inquietante desiderio di penetrarli, visitarli, osservarli in ogni particolare, con l'inutile speranza di decifrare il linguaggio delle pietre, di trovarvi qualche segno, qualche arcana impronta che ci apra scenari arcaici e suggestivi, ormai irrecuperabili."

Così scrivevo il 17 aprile 1978. Due o tre anni prima avevo visitato il nuraghe di Barumini. Ero andata in una giornata di fine dicembre. Allora non c'erano guide, e non c'era proprio nessuno. Con mio marito sono entrata in questa incredibile costruzione e l'abbiamo scoperta stanza per stanza. L'impressione è stata fulminante. Conoscevo già il Palmavera ma a Barumini ho provato delle emozioni irripetibili che ricordo bene ancora oggi. Chissà quale evoluzione avrebbe avuto il popolo nuragico se lo avessero lasciato sviluppare in un contesto di scambi pacifici, come era avvenuto con i Fenici. Ma la pace è un sogno che non fa parte della storia. Ci rimane solo una grande amarezza per il passato e per il presente, nella constatazione che l'uomo non può trovare l'armonia del quieto vivere nel rispetto di sé stesso e degli altri, ma è succube dell'ingordigia che rende la sua vita un inferno. Ieri come oggi e, forse, come sempre.


Ittireddu: Sughero inserito nella muratura del nuraghe Funtana.

giovedì 23 maggio 2013

Modelli in 3 D

Modelli realizzati in tre dimensioni con macchina stampante.


Modello della chiesa Notre-Dame du Hot del celebre architetto Le Corbusier
Notre-Dame du Hot è una cappella situata a Rongchamp presso Belfort in Francia






Modello della cupola di San Michele di Alghero


Modello della torre di Porta Terra di Alghero



Modello del Portale gotico della Cattedrale di Santa Maria che porta al Campanile


Modello della facciata del Ristorante "Al Tuguri"

Per i modelli contatta:

giovedì 16 maggio 2013

Alghero poco amata


Modello della torre di Porta Terra alto cm 4,9

Ci sono amministrazioni che amano la propria città e altre che, nella migliore delle ipotesi, non provano niente. Alghero è una città ben poco amata dagli amministratori che anzi fanno di tutto perchè le sue bellezze siano occultate, e perché l'ingegno e l'estro degli algheresi non vedano la luce. Cosa si può pensare di un'amministrazione che chiede un pagamento a chi vuole esporre le proprie opere d'arte in una struttura pubblica? Il bello è che il pagamento lo chiede a giovani artisti nullatenenti, mentre se si tratta di personaggi affermati, che potrebbero anche pagare, concede gratuitamente la struttura. Ma vi sembra che ci sia senso?
La città ha strutture pubbliche abbandonate, alcune ormai degradate, ma mai e poi mai le concederebbe a cittadini volenterosi che magari potrebbero ristrutturarle e renderle produttive. Eppure ci sono città con amministrazioni più accorte che capiscono il vantaggio: il cittadino ti risana la struttura, la mantiene efficiente, la utilizza, crea una situazione lavorativa, e risolvi il problema della struttura e del cittadino. Ma tutto ciò richiede lavoro, attenzione, capacità di decidere, e i nostri amministratori evidentemente hanno altro da fare.



Modello della cupola di san Michele alto 4,9 cm

Per i modelli contatta:
www.enricoceravola.com

Povera Alghero!



Modello della Torre di Porta Terra alta 4,9 cm

Voglio occuparmi un po' di Alghero.  Vediamo alcune situazioni.
Il Museo Archeologico è stato inaugurato più volte in prossimità delle elezioni amministrative ma non è mai stato aperto. Ultimamente pare che il motivo sia da addebitare ad infiltrazioni d'acqua, evidentemente inarrestabili con i comuni  metodi usati normalmente.
Il Cavall Marì giace in completo abbandono e degrado.
Al Trò decenni fa è stata realizzata una struttura, è stata utilizzata saltuariamente e ormai è abbandonata da anni.
Il Palazzo dei Congressi è un monumento all'inefficienza e allo spreco di risorse pubbliche. Sta lì a ricordarci che non sempre le strutture si fanno perché servono, ma talvolta servono solo per essere fatte.
Queste sono soltanto alcune delle tante criticità di Alghero. 
Una amministrazione efficiente avrebbe già da tempo preso dei provvedimenti. 
Avrebbe eliminato le infiltrazioni dell'edificio del Museo Archeologico e lo avrebbe aperto.
Avrebbe preso una decisione sul Cavall Marì. Secondo il sentire comune ci sono due soluzioni: o la struttura viene affidata a cittadini che ne facciano richiesta per realizzare un'attività produttiva in sintonia con l'ubicazione della costruzione senza alcun pagamento al comune per alcuni anni, in cambio della ristrutturazione e manutenzione, oppure la costruzione va demolita e si ripristina il Cavallino Bianco, una terrazza sul mare fruibile da chiunque come succedeva negli anni cinquanta quando la rotonda era frequentatissima dagli algheresi.
Un'amministrazione efficiente avrebbe consentito a cittadini di buona volontà di restaurare la costruzione del Trò per stabilirvi un'attività produttiva senza alcun pagamento per alcuni anni, fino a raggiungere la cifra spesa per il restauro e la manutenzione.
Per il Palazzo dei Congressi non saprei quale destinazione attribuire alla costruzione. C'è forse qualcuno che ha qualche idea in merito?

Per il modello della cupola di San Michele e per la Torre di Porta Terra contatta:
www.enricoceravola.com

mercoledì 6 febbraio 2013

Il senso della vita



Rocce del Limbara

Ivana lavorava a maglia nel suo soggiorno. Un silenzio quasi religioso riempiva l'aria della stanza dove i quadri appesi al muro parevano visioni di un tempo lontanissimo ormai perso per tutti. La lunga sciarpa in lavorazione si arrotolava ad ogni cambio di ferri mentre il gomitolo andava e veniva sul pavimento lucidato a specchio. Ivana ogni tanto tirava il filo e poi lo faceva passare tra le dita della mano destra, così come le aveva insegnato sua madre tanti, tanti anni fa, quando era ancora bambina. Pochi ninnoli sullo scaffale che separava la zona pranzo dal salotto denotavano un gusto particolare per le ceramiche e per i cristalli mentre erano del tutto assenti i portacenere. Una bella pianta grassa invasata in un contenitore di rame era appoggiata al centro del tavolino. Dai trafori della tovaglietta in cotone ecrù lavorata a uncinetto posata sul tavolino si intravedeva il colore scuro del legno. Aveva proprio azzeccato il motivo della tovaglietta, era decisamente soddisfatta del suo piccolo capolavoro.
L'ampia vetrata faceva entrare luce in quantità nel soggiorno. Mentre dalle finestre delle abitazioni intorno si indovinava l'uso della luce elettrica, lei aveva il privilegio di godere della luce naturale per gran parte della giornata anche durante l'inverno. Eh, si, era stata una bella idea quella di fare una vetrata che dava direttamente sulla terrazza. Oltre ad avere luce in abbondanza, durante l'estate poteva riposare gli occhi sulla vite americana che tappezzava di verde il muro di fronte. E poi spesso sulla terrazza passavano i gatti del vicinato. Erano così carini! Arrivavano alla vetrata, si sedevano lì davanti e guardavano dentro casa. Qualche volta, spinti dalla fame, poggiavano le zampe sui vetri allungandosi il più possibile. Allora Ivana guardava se aveva qualche avanzo, oppure del latte, per sfamarli. Però quei malandrini il più delle volte storcevano il muso. Infatti erano ormai abituati alle crocchette e al cibo per gatti e non si litigavano più per una zuppa di latte o per delle lische di pesce come avveniva un tempo. Per non parlare della pastasciutta che non toccava quasi il contenitore perché già si allungavano i musi e le zampe per intercettarla. Altri tempi.
Questa sciarpa non finiva più. Più lavorava, più le sembrava corta. Colpa sua se aveva perso la sua bella sciarpa? E dove era successo il fatto? Al supermercato, al negozio dei detersivi o per strada? Quando era andata a cercarla nessuno l'aveva vista. Possibile? Sparisce così una sciarpa bicolore lavorata a mano? Mah! Per fortuna a casa si era trovata della lana uguale, anche se già usata, e adesso la rifaceva identica.
Ripensava alla fine del film "Departures" che aveva visto poco prima. Una fine pacificante, consolatoria, con uno sguardo verso il futuro. Strano film. All'inizio Ivana era rimasta perplessa. Le era piaciuta molto la scelta di far vedere l'automobile che viaggia nella nebbia. Lasciava presupporre una buona scenografia. Ma quando era comparso il cadavere adagiato sul pavimento ed erano iniziate le pratiche per prepararlo, aveva subito bloccato la pellicola. Suo marito già brontolava "Bei film registri!" In effetti non era un film da vedere per chi cercava uno spettacolo possibilmente divertente e spensierato, giusto per conciliare il sonno. Tuttavia non lo aveva cancellato. Nei giorni successivi ripensava al film. Chissà, forse avrebbe assistito a sequenze interessanti sul culto dei morti in Giappone e avrebbe potuto aggiungere delle notizie al suo lavoro di ricerca sulle superstizioni. Così, un pezzo per volta, lo aveva visto tutto. Era decisamente un bel film ma certo occorreva lo spirito giusto per guardarlo. A lei interessavano le pratiche del tanato-esteta, le interessava soprattutto capire perché i parenti volevano che il loro caro venisse preparato in maniera impeccabile visto che poco dopo si sarebbe proceduto alla cremazione. Era forse un ultimo omaggio per rendere meno traumatica la separazione, un risarcimento al defunto che, avendo perso la vita, otteneva un'attenzione speciale da parenti ed amici, che assistevano alla preparazione in raccoglimento, attenti ad ogni gesto del rito... Ivana non sapeva, ma aveva capito che la cerimonia serviva ai parenti per attutire il dolore del distacco perché vedere il loro caro fatto oggetto di tanta sollecitudine li gratificava, e ancora di più era motivo di consolazione osservare come quel viso ormai inanimato diventasse bello dopo il trattamento, come se la morte non lo avesse toccato. Molti ammiravano così la vera immagine del proprio caro, quella che non sempre erano riusciti a cogliere durante la vita. Pochi minuti per riempirsi gli occhi di quelle sembianze, e poi solo un po' di cenere.
Dopo aver visto il film Ivana lo aveva cancellato. E poi si era posta tante domande. Aveva scoperto che la pratica dei tanato-esteta era ormai sparita dalle grandi città ed era caratteristica dei centri più piccoli del Giappone, e chissà, forse era destinata all'oblio. Il senso pratico prevale poi su tutto, si sfronda ciò che è ritenuto superfluo, e con ciò si spoglia il senso della vita che diventa sempre più scarno, più sottile, più impalpabile.
E poi ci si chiede perché viviamo, che significato ha il passaggio sulla terra, a che cavolo serve la nostra fatica, il nostro impegno, la nostra volontà di andare avanti, e non ci sappiamo dare neppure uno straccio di risposta. Ivana aveva risolto il problema immaginando di partecipare ad una grande festa che un giorno sarebbe finita, ma finché c'era bisognava ballare. Non si poneva più domande da quando aveva capito che se nessuno fino ad oggi aveva trovato una risposta, certamente non ci sarebbe riuscita lei. E allora viveva senza porsi inquietanti perché, senza credere in fantasmi che nessuno aveva mai visto. Conosceva un solo modo di passare il tempo: andando alla ricerca dell'uomo, dei suoi pensieri, dei suoi sogni, delle sue scoperte, di quel mondo di idee che gli aveva permesso di ottenere una vita comoda e gratificante in un habitat che non sembrava fatto per lui.
Squillò il telefono. Oh,no! Sarà qualcuno che vuole farmi un nuovo contratto per il telefono! Ti prego. No! Gli squilli continuavano. Ivana lasciò il lavoro sulla sedia e andò a rispondere. - Pronto? .... Ah, ciao. Come stai? ... Come al solito, si va avanti, come sempre ... Certo che mi fa piacere, vieni pure, stasera non devo uscire. Ciao, a dopo.-
La sua amica veniva a trovarla, chissà, sicuramente voleva qualcosa. Aprì la vetrina e prese tre piattini, due tazze da tè, e la teiera; no, non mancava niente. C'era il limone? Guardò in frigo. Sì, il limone c'era. Lo affettò e lo posò su un piattino. Prelevò due cucchiaini, e li adagiò sui due piattini. Si ricordò dei tovaglioli da tè e li mise vicino ai piattini dopo aver controllato che fossero puliti. Non li usava spesso. Mise sul fuoco un bollitore con abbondante acqua e attese la scampanellata che non tardò a farsi sentire.
Baci, abbracci. -F
inalmente ti fai vedere! Ti trovo bene. Sei dimagrita? E questo che cosa è? Oh, delle arance. Grazie! Che profumo! Scommetto che le hai appena colte. Sono meravigliose e saranno sicuramente buonissime!
- Sono le prime arance. Quest'anno gli alberi hanno caricato.
- Sto preparando il tè. Non ho biscotti, ma possiamo accompagnarlo con i crakers. Preferisci zucchero o miele?
- Sono venuta per dirti che mio figlio si è candidato.
- Prima che continui ti dico che io sono "antipolitica" e "populista". Non so con chi si sia candidato Emanuele, ma per quanto mi riguarda non intendo andare a votare. E poi, scusa, non hai sempre detto che tuo figlio è un buono a nulla?
- Eh,si, è vero. Ma tu credi che chi fa politica sia capace di fare qualcosa? E' proprio perché sono buoni a nulla che fanno politica! Anzi, a ben pensarci, mio figlio è troppo onesto per ficcarsi là in mezzo! Ma sicuramente potrà cambiare.
- L'acqua bolle!
- Cara mia se vogliamo che qualcosa cambi in questo schifo di paese bisogna farsi sentire.
- No, io credo che ormai niente più ci salverà, e non intendo diventare complice di chi sta divorando l'Italia. Stanno distruggendo una nazione intera e non darò il mio avallo. Non posso bloccarli, ma non voglio essere complice.
- Ho capito, non voglio stare a convincerti. Anch'io penso che non si possa fare niente di niente in questo schifo di posto, ma arrivare in parlamento significa avere un ottimo stipendio, privilegi a non finire, possibilità di fare affari... è insomma, una buona sistemazione ...
Tra una sorsata e l'altra di tè si materializzavano intorno alle due amiche euro in quantità smisurata, privilegi, appalti, contratti ... Ad ascoltare con attenzione nella stanza si sentivano anche i dlin dlin dei soldi.
Quando l'amica andò via dicendo che aveva ancora tante visite da fare Ivana ritirò le sue tazzine di porcellana prima che facessero una brutta fine e riprese il lavoro. Ma ora non vedeva più bene. Appoggiò il lavoro sul grembo e attese un po' prima di accendere la luce. Le piaceva quella penombra che dava al suo soggiorno un aspetto particolare, mettendo in evidenza ciò che la luce nascondeva. Mio Dio! Che cos'era la vita? Era forse quel buio dove milioni di diseredati cercavano a tentoni l'uscita dall'incubo della disoccupazione, della cassintegrazione, del lavoro perduto e più ritrovato, o era la luce sfolgorante dei privilegiati che non conoscevano ostacoli al loro bengodi? Quando sei immerso nella luce non vedi chi sta nel buio. Era per questo che i due mondi non potevano incontrarsi. Ed era per questo che Ivana, angosciata per non poter aiutare i condannati alle tenebre, non avrebbe certo acceso altri lumi per chi già godeva della luce.
Rimase ancora a lungo seduta sulla sedia al buio ad ascoltare le voci di chi chiedeva giustizia, equità, uguaglianza. Ma non seppe dare nessuna risposta.

Giò

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