Visualizzazioni totali

sabato 17 dicembre 2016

Oglia purrira

OGLIA PURRIRA (OLLA PODRIDA)

Troviamo un riferimento al piatto spagnolo Oglia Purrira, nelle memorie di Giacomo Casanova (1725– 1798) che lo cita tra le pietanze preferite insieme al pasticcio di maccheroni, al merluzzo di Terranova, alla selvaggina ben frollata e al formaggio con i vermi. Casanova specifica che prediligeva i sapori forti.

Ancora oggi l'oglia purrira è una pietanza molto comune e apprezzata in Spagna dove verosimilmente l'ha gustata Casanova.



Preparazione dell'Oglia Purrira
foto da: http://www.spanish-food.org/recetas-cocina-espanola/guisos-de-carne-olla-podrida.html


Ad Alghero è rimasto il ricordo del nome. Era un piatto degli ortolani che lo preparavano con le verdure coltivate nel loro terreno. 
Amelie Posse durante il suo periodo di internamento ad Alghero (1915) ha conosciuto un personaggio molto particolare che faceva l'ortolano e lo ha osservato mentre eseguiva una curiosa ricetta che la scrittrice descrive così: “In un barattolo di pomodori vuoto metteva un pezzo di lardo, o un bel po' d'olio, e delle grandi cipolle. Quando iniziava a dorare aggiungeva acqua e ci versava tanti pomodori quanti ne conteneva il suo enorme cappello di paglia. Quindi aggiungeva ogni genere di ortaggi: i tuberi lavati senza troppa cura e non sbucciati e le verdure non preparate in alcun modo. “La natura è pulita”, soleva dire. Alla fine mescolava tutto con un bastoncino a punta che utilizzava anche, di tanto in tanto, per pulirsi i denti o per nettare la pipa. A volte nella zuppa c'erano delle fave secche, il che voleva dire lasciar bollire più a lungo, oppure una manciata di riso. Sale non ne usava. Diceva che logorava lo scheletro. Se voleva dare un tocco davvero speciale ci aggiungeva un po' di pecorino grattugiato.”1
Di questa pietanza non viene riportato il nome ma potrebbe meritare senza dubbio quello di oglia purrira. Molti algheresi ricordano che gli ingredienti della ricetta erano appunto le verdure dell'orto alle quali si aggiungeva un pezzo di carne.
Una ricerca del 2004 a cura della Scuola Media Alghero 2 + Fertilia, che ha presentato i suoi risultati nel libro “Olla Podrida”, precisa che nella pentola venivano cotte rimanenze di verdure con carne e legumi, in genere ceci. Ad Alghero si usavano le lumache al posto della carne.

Oggi il piatto, non molto conosciuto, viene preparato solo occasionalmente dai conoscitori delle usanze della città. Nei suoi “Racconti Algheresi” Michele Chessa si è occupato anche della cucina tradizionale algherese. Egli cita la copazza de pesc, las agliaras, la capunara, la tolta de mangià an branc e molte altre specialità, ma non nomina l'oglia purrira. 2

Naturalmente molti si sono chiesti l'origine di una denominazione così particolare per un cibo ma pare che non ci sia possibilità di risolvere l'enigma. Alcuni pensano che podrida (purrira) sia una corruzione di poderida, termine che sta ad indicare colui che può, che è potente e ricco. Secondo altri purrira si riferisce all'uso di riversare nello stufato bollente i resti del pasto di ogni giorno e al fatto che la pentola va lasciata al fuoco in ebollizione per molte ore.3 Il piatto ha origini molto antiche e ormai sulla sua denominazione si possono fare solo ipotesi che però non danno certezze.

Nasce spontanea la riflessione che nonostante la lunga sottomissione agli spagnoli, la cucina in città sia rimasta legata alla tradizione isolana con influenze dalla Penisola e vi si trovino rari riferimenti catalani come appunto quello dell'oglia purrira. Ad esempio ad Alghero non vi è traccia dalla coca che è una focaccia dolce e farcita, immancabile nelle mense catalane durante la festa di San Giovanni.
In un sito internet leggiamo:
“Imprescindibile su tutte le tavole è il piatto tipico della pasticceria tradizionale catalana: la Coca de Sant Joan. La cui forma più antica, rotonda con il buco centrale, evoca il disco solare. La coca si mangiava “al ras”, cioè all'aperto sia in campagna sia in città, perché la notte di San Giovanni è la notte della magia.”4
Ma questo dolce tradizionale non è conosciuto ad Alghero nonostante i festeggiamenti per San Giovanni del 23 e 24 giugno siano stati tra i più importanti fino agli anni cinquanta del Novecento.
Ogni periodo ha i suoi cibi caratteristici, che sono più diffusi e presenti nelle mense di ogni giorno. Talvolta si riscoprono antiche ricette che vengono rielaborate e modificate a seconda dei gusti. Non sarebbe male fare un viaggio a ritroso nella gastronomia cercando nel contempo di recuperare i sapori dei quali si è perso anche il ricordo oppure non li si è mai conosciuti.


1. Amelie Posse – Interludio di Sardegna Editore: Euromeeting Italiana/Mediasat, pag 163
2. Michele Chessa - Racconti Algheresi La Celere 1977 Vol II pag. 104 e seg


Articolo pubblicato nel numero di settembre 2016 della rivista "L'Isolano"

Per commenti e messaggi:
tilgio@virgilio.it

domenica 9 ottobre 2016

Il clandestino Renzi

IL CLANDESTINO RENZI



La zattera di Gericault


Nonostante Renzi premesse da vario tempo sui confini del Parlamento - Bengodi, il suo partito lo teneva a debita distanza. Ma grazie al traghettatore Berlusconi il rottamatore è arrivato all'ambita spiaggia di segretario del PD. Il gioco era quasi fatto. È bastato che Bersani, per non consegnare il paese ai 5Stelle, rinunciasse a formare il governo affidato poi a Letta, perché il clandestino, ormai segretario del partito, uscisse dal suo temporaneo rifugio per essere investito della carica di capo del governo dal servizievole e umanitario Napolitano.
Adesso però Renzi si sbraccia perché sente di nuovo lo sciabordìo delle onde. Promette soldi e favori pur di ottenere quel “Si” che gli garantirebbe il diritto di cittadinanza.
Intanto il paese sprofonda in una recessione senza fondo, il PD si sta sgretolando, i 5Stelle sono impegnati nell'opera titanica quanto impossibile di salvare il salvabile. Ma anche tra loro quanti sono davvero disposti al sacrificio per perseguire i principi di giustizia sociale?
Tra i cittadini chi ha una posizione tutto sommato stabile, cerca di vivere senza pensare al domani, e chi non ha collocazione scappa dal paese o si rassegna a vivere ai margini. È un ritorno al passato di povertà della prima metà del novecento con l'aggravante di aver conosciuto quel benessere che ha attraversato il popolo nella seconda metà e con la rabbia di vedere intorno i privilegiati che non fanno nulla per nascondere il frutto delle loro ruberie.
Credo che nessuno sia in grado di dare a tutti gli italiani la sicurezza di un lavoro che consenta una vita dignitosa ma è anche giusto cercare un governo che almeno si sforzi di combattere il malaffare che toglie tante risorse ai cittadini. E questo non è il clandestino Renzi.





venerdì 22 luglio 2016

Soprannomi ad Alghero

SOPRANNOMI AD ALGHERO



Si sa che vi è dappertutto l'abitudine di dare dei soprannomi alle persone in base ad elementi caratteristici fisici, psicologici, antropologici. Anche diversi cognomi hanno origine dai soprannomi. Talvolta il nomignolo è rimasto personale, e sta ad indicare una sola persona, più spesso si è trasmesso alla famiglia e ai suoi discendenti e ha reso possibile distinguere varie famiglie con uno stesso cognome. 
Anche nelle annotazioni parrocchiali si incontrano soprannomi che dopo cento, duecento anni, sono ancora diffusi in città.

Facendo ricerche nell'Archivio Storico Diocesano di Alghero mi capita talvolta di incontrare soprannomi. Eccone alcuni.
C'è da precisare che quando un termine del documento non è chiaramente leggibile è seguito da un punto interrogativo. PP è l'abbreviazione per "padrini"

 L'8 gennaio 1727 nasce Maria Giuliana Giuseppa Pichancul figlia di Francesco Billanu Pichancul e di Maria Grazia Tidora. Padrini Giovanni Battista Deyana e sua moglie Francesca Corbia.
Pichancul è un soprannome qui usato come cognome.

Il 24 gennaio 1727 nasce Giovanna Maria Chirialeison figlia di Antonio Chirialeison e di Caterina Binale? (Menali). Padrini Domenico Collio?, e Giovanna Maria Deculla?
Chirialeison è un soprannome usato come cognome.
Il 25 gennaio 1727 Antoni Kirieleizò, alias Sargient la Granatta, nato a Messina in Sicilia, si sposa con  Maria Cathalina Menali di Ivrea in Piemonte.
Antonio Chirileison era un soldato del secondo battaglione di Sicilia di stanza in Alghero. Sargient la Granatta potrebbe essere il suo nome di battaglia.

Il 27 luglio 1727 Antoni Cachabali fa da teste al matrimonio di Carlo Chessa e di Maria Anna Cadeddu che si sposano in casa.
Cachabali si legge Caciabali e indica colui che dice balle, bugie. Qui è un cognome.
Il 3 novembre 1738 troviamo Antonio Francesco Cacavali. E' lo stesso cognome scritto come veniva pronunciato? Il questo caso il significato sarebbe differente dalla prima interpretazione.


Il 15 marzo 1728 nasce Antonio Gavino Narciso figlio di Matteo alias Barballa e di Lucia Pintor. PP Antonio Pinna e Caterina Masala. In questo documento non è indicato il cognome ma solo il soprannome.

Il 27 aprile 1730 Giovanni Antonio Solinas alias Barbalà fa da testimone ad un matrimonio.

Il 1° maggio 1731 nasce Maria Giuseppa Carboni figlia di Leonardo Carboni alias Ballula e di Maria Pasqua Nuvoli. Padrini Giovanni Maria Casu e Antonia Malay. Ballula/Ballulla viene usato come cognome fino alla prima metà del novecento.

Il 30 agosto 1731 nasce Antonio Giuseppe Raimondo Cadeddu figlio di Antonio Cadeddu Simula alias Panateri e di Monserrata Soro di Siligo. Padrini Giuseppe Carta e Maria Grazia Crasta.

Il  12 giugno 1732 nasce Salvatore Antonio Alessio figlio di Giuliano Cossu alias Matana e di Isabella Detori. Padrini Francesco Nuvole e Rosa Ortu.

L'8 gennaio 1755 muore Maria Francesca Tavera alias Peu de Bou, di 35 anni e viene sepolta nella Cappella di Sant'Anna.

 Il 1° febbraio 1761? muore all'improvviso Giovanni Maria Solinas alias Barbala.

Il 7 agosto 1798 muore Maddalena Gill di 20 mesi figlia di Salvatore Gill alias cap de Bomba e di Vittoria Mundula. Cap de Bomba significa Testa di Bomba.
Il cognome Gill è abbastanza diffuso in Spagna.
Anche Antonio Ogno aveva questo soprannome (Michele Chessa, Racconti Algheresi,  Vol II pag. 62)

Il 3 ottobre 1800 nasce Maria Domenica Francesca Camarada figlia di Antonio Maurizio Camarada e di Giuseppa Galzerin. Sono suoi padrini Antonio Corbia e Pasqualina Camarada (soprannome Campino). 
Sul documento, tra parentesi, vi è la nota del soprannome Campino che distingueva una delle famiglie Camarada. Il soprannome potrebbe essere dovuto a sbagliata pronuncia di un cognome e questo cognome potrebbe essere Campelly, famiglia che era imparentata con i Camarada almeno dal 1770 quando nasce Antonio Bernardo Ciampelli/Campelly (figlio di Francesco Ciampelli e di Maria Anna Camarada) che muore a 25 anni il 7 ottobre 1795.

 Il 6 ottobre 1852 nasce Maddalena Sotgiu figlia di Giovanni Battista Sotgiu Gos Gos (soprannome) e di Marta Rosa Chessa. Padrini Nicola Silanos e Francesca Lupinu.


Il 21 agosto 1855 muore Ignazio Mustazzu Serra di 50 anni figlio del fu Antonio Serra e della fu Giuseppa Testoni. In questo caso il soprannome è scritto insieme al cognome. Mustazzu potrebbe essere interpretato come mustacciu (baffo) ma vi è anche assonanza con il termine amostassen che in spagnolo designava  il sovrintendente ai mercati e vigilava su tutto ciò che concerneva la quantità e qualità dei viveri nelle città regie. La carica fu abolita nel 1836. (1)
Amostassen corrisponde all'italiano mostazzaffo.
Bisognerebbe provare il nesso tra la famiglia e la carica in questione. O si tratta di un soprannome messo per scherzo?
Altri soprannomi dei Serra sono Lu Cuntì (il contino - ancora presente) e Baul.
Ancora oggi il soprannome Mustazzu indica una famiglia Serra. 
Ignazio Mustazzu è morto probabilmente di colera dato che nell'agosto del 1855 l'epidemia è arrivata ad Alghero e ha provocato seicento vittime.

(1) Fonte: Dizionario Storico Sardo, F.C. Casula, Carlo Delfino Editore

Nella pubblicazione "L'estate del colera" di Marina Sechi Nuvole (2019) troviamo alcuni soprannomi riportati negli elenchi di nomi di persone che, a vario titolo, sono inseriti in liste di quel periodo (estate 1855)
Troviamo
Pesc manut  (pesce piccolo)
Antonio sega ferru (taglia ferro) Canu (elenco dei malati di colera) - curato (I Vol. p. 210).
Morette frungit Pasqualina (elenco dei malati di colera) - guarita (I Vol. p. 211). Frungìt significa aggrenzito.
Pais frungit Angelo Gavino (elenco dei malati di colera) - morto (I Vol. p. 212)
Pais Gorru Giovanni (elenco dei malati di colera) - guarita (I Vol. p. 213)
Fois fatacciu Pasqualina (elenco dei malati di colera) - guarita (I Vol. p. 213). Fatacciu in realtà è un cognome molto diffuso ad Alghero nel 1700 e 1800.

A pag. 262 sono riportati altri soprannomi:

Anna Maria Isachilla Chessa, moglie di Iachillach (Pietro Maria Puggioni)
Nicolò Lodduru Piras. Ancora presente Loduru.
Giuseppe Saccajoni Simula; Saccajoni è usato spesso come cognome.
Falchitto (Efisio Luigi Casula)
Antonio Billoi Serra
Giovanni Garru Brumengo Pais
Subujoni (Efisio Silanos). Ancora presente Subbuglioni.
Giuseppe Icomensis Ferru. Potrebbe riferirsi al verbo ascumanzar (escomençar), cominciare.
Maria Clachebè madre di Luigi Sancuberg.


Il 22 febbraio 1857 nasce Rita Derriu figlia di Francesco Derriu e di Giacoma Cusseddu. In una nota laterale si legge San Ramon che è il soprannome delle famiglie Delrio, tutt'ora in uso. San Ramon è San Raimondo.

Il 12 febbraio 1858 nasce Carmine Sanna figlio di Luigi Sanna (del fu Giuseppe e di Maria Santa Dettori) e di Maria Antonia Cassarola (del fu Antonio e di Maria Lorenza? Nughes). Padrini Giovanni Scognamillo e Marianna Ibba. 
Cassarola è la casseruola ed è ancora oggi il soprannome di una famiglia Sanna pronunciato Cassarora. 
In questo caso però è il cognome di Maria Antonia che incontriamo spesso negli atti di battesimo perché la donna faceva l'ostetrica e oltre a far nascere i bambini li battezzava quando erano in pericolo di vita.
I Sanna ad Alghero hanno diversi soprannomi per distinguere le varie famiglie. Oltre a Cassarora conosco Valginia  (melanzana).

Il 5 maggio 1869 muore Giuseppe Palomba di 40 anni, marinaio nato a Torre dell'Annunziata. Il suo soprannome è Travacciona. (Archivio Storico Comunale, Atti di Morte).
L'unica parola che riesco ad associare è travat che significa impastoiato. Potrebbe indicare una persona con difficoltà di movimento o con difetti di pronuncia. 

Il 4 settembre 1921  Giuseppe Ciaravola noto Giusè Leone di Emilio si sposa con Anna Piras.
Leone era il soprannome della nonna materna di Giuseppe, Francesca Contine, sposata con Pasquale Salis. Sua figlia Rosa Salis Contine, madre di Giuseppe, nella seconda metà dell'ottocento aveva una taverna di fronte all'ex chiesa del Rosario (oggi Museo Diocesano). Oggi Leone si trova come cognome.

Nei tre volumi dei "Racconti Algheresi" di Michele Chessa sono citati numerosi soprannomi. Eccone alcuni tratti dal primo e dal  secondo volume (1977)

Patara - Antonio Delogu agricoltore era detto Antoni Patara
I Volume pag. 56

La Granara - Antonio Spinetti, messo comunale.
Granara e Granada erano anche cognomi. Come soprannome si usa ancora la Granara.
I Volume , pag. 66

Pag. 42 e pag. 61
Putrank - Angela Maria Carta discendeva da una famiglia di agricoltori ed era un avvocato mancato tanto conosceva le leggi. (pag. 42)  Andrea Carta banditore fino agli anni 50.  (pag. 61)

pag. 55
Raspeta - Raffaele Stagnaro cameriere del conte Luigi Sant'Elia

pag. 57
Fratupì - famiglia Usai (II Vol.)

pag 58
Gambi sechi - Nicolino Girardi di origine genovese. (II Vol.)


Cap de Bomba - Antonio Ogno forse parente di Salvatore Gill. Antonio Ogno era un calzolaio e aveva una testa enorme.
Vol I pag. 44  - Vol II pag.62

pag. 63
La magnesia - Remo Soggiu. Soprannome ancora in uso.
Bobina - Mario Piras

pag 67
Cult i gros - famiglia Carboni

pag. 69
Triribichi - famiglia Langella pescatori di origini campane
Lus de Grabidanu - Famiglia Giorico di origine caprese (grabidanus)
ciù Antoni Cazianella - Antonio Scognamillo armatore di bastimenti mercantili

pag.72
Rapetu - Antonio Melis segretario dell'amministrazione dell'Ospedale

pag. 92
Burinet, Macinino e Bichiruiu sono tre soprannomi dati ad una sola persona, il barbiere Giovanni Antonio Silanos che ha ispirato la canzone Giuan Antoni Bichiruiu. Pare che Macinino fosse il nome del suo cane.

ALTRI

Sang de bou - Famiglie Salis

Pasteta - soprannome di Giovannino Gavini, barbiere e buon chitarrista.

Pirichedda - soprannome di un assicuratore.


Per commenti e messaggi:
tilgio@virgilio.it




domenica 20 marzo 2016

Inquisizione ad Alghero

Alghero al tempo dell'Inquisizione
Alessandra Derriu e i documenti dell'Archivio Diocesano



Ingresso dell'Archivio Diocesano di Alghero (Foto febbraio 2016)

La vicende del popolo, quelle che i libri non riportano perché trattano solo la storia con la esse maiuscola, ci arrivano da antichi documenti di archivio redatti secoli fa e dimenticati per altrettanto tempo. Attraverso polverose e talvolta quasi illeggibili carte possiamo introdurci nel privato di persone sconosciute, quelle che popolavano Alghero in tempi lontani e delle quali niente altro è rimasto se non un nome e alcune notizie. Sembra poco, quasi niente, ma nel leggere quelle remote parole si aprono scenari imprevisti, che lentamente si illuminano e mostrano molto più di quanto i segni tracciati sulla carta non dicano. Così ci troviamo a vagare per le strette strade, oltrepassiamo le soglie delle porticine, saliamo le ripide scale, e ci introduciamo nelle dimore per conoscere i desideri, le ansie, gli affanni dei loro abitanti. Donne che vogliono impedire al proprio marito di tradirle, persone malate che cercano rimedi che la medicina non può offrire, innamorate non corrisposte che desiderano catturare l'attenzione del giovane amato, cercatori di tesori custoditi da esseri maligni molto difficili da sconfiggere.  

Lo scenario umano rivelato dai documenti è vario, vi compaiono persone che vivono in preda alla paura e al contempo altre che sono convinte di avere poteri soprannaturali in grado di dirigere le volontà altrui e di determinare il corso degli eventi.
Nella città forze del bene e forze del male operano instancabili per portare fortuna o sciagura e gli abitanti cercano di propiziarsi la buona sorte e di scongiurare il male con ogni mezzo ritenuto idoneo.
Non è difficile approfittarsi della credulità popolare per coloro che cercano un modo per sopravvivere mostrandosi capaci di padroneggiare tali forze.

Dalle testimonianze rese al vescovo inquisitore emerge anche la città settecentesca con le sue abitazioni e i sottani, i magazzini degli attrezzi da pesca vicino all'oratorio del Rosario, le taverne dove si mangia e si beve, le feluche per la pesca del corallo ancorate fuori della Puerta de la Marina, il quartiere dei soldati, la casa de la çiutad che si trova nella piazza dove il giorno di Pasqua tra le sette e le otto di mattina si tiene il sermone dell'incontro tra la Madonna e il suo Figlio risorto, il palazzo episcopale con la sua aula della Santa Inquisizione e le carceri del Santo Officio, le numerose chiese e i conventi usati anche per rinchiudere gli inquisiti nelle celle durante gli interrogatori, il cimitero della cattedrale dal quale provengono le ossa di morto necessarie per alcune pratiche.

I documenti analizzati da Alessandra Derriu sono veramente tanti e sono, ciascuno a suo modo, delle fondamentali e uniche fonti di informazione.
La parte del documento riportato sotto ci dice che l'Ospedale di Sant'Antonio Abate veniva denominato di San Giovanni di Dio visto che era affidato ai Fatebenefratelli.



Il documento riguarda il frate minore degli osservanti di San Francesco Giovanni Antonio Tattis di 41 anni denunciato dal suo confratello Vincenzo Calvera che lo accusa di aver pronunciato alcune orazioni e il De Profundis per nuocere alla vita del vescovo che non aveva aderito alla sua richiesta di esporre il Santissimo per i napoletani.
Tattis viene rinchiuso in una cella del Convento-Ospedale di San Giovanni di Dio ma in seguito viene trasferito in altri conventi perché c'è il problema del pagamento dei suoi alimenti. Il frate viene condannato ad abiurare il sospetto di eresia, alla sospensione per un anno della facoltà di celebrare messa e di confessare, a prendere l'eucaristia una volta al mese. Ma il francescano pensa bene di togliere il disturbo e scappa dal convento nel quale è recluso per recarsi in Corsica dove continua a celebrare messa.

La lettura del libro “Il tribunale dell'Inquisizione ad Alghero” di Alessandra Derriu è dunque un modo per vivere la città nel tempo oltreché nello spazio. Ci offre infatti la dimensione temporale di Alghero e ci rende consapevoli del passaggio delle generazioni nei secoli. Possiamo percepire con tutti i sensi il flusso degli abitanti con i quali condividiamo gli spazi in quello scorrere continuo che è la storia.

Articolo pubblicato sul numero di marzo 2016 della rivista L'Isolano.


Per commenti e messaggi:
tilgio@virgilio.it


domenica 7 febbraio 2016

La leggenda di Baratz - Recita scolastica



LA LEGGENDA DI BARATZ

Io non sono di famiglia algherese e non conoscevo la leggenda. Me l'ha raccontata Franco Ceravola, così come l'aveva appresa dal padre Luigi che è vissuto tra il 1906 e il 1985. In seguito ho sentito altre versioni, più elaborate, ma non ne conosco la provenienza.
La versione da me utilizzata per allestire una breve rappresentazione richiama la Bibbia. Qui pubblico la versione in algherese e la traduzione in italiano. Altre notizie si trovano nei post dal n° 8 al n° 19 del blog  http://blog.libero.it/fiabe45/

Questa breve recita è stata organizzata in una scuola elementare con alunni di quinta classe che l'hanno presentata in algherese nell'anno scolastico 2006-2007.
Se qualcuno vuole può utilizzare il testo allo stesso scopo. Chiedo che sia citato il sito nel quale il testo si trova. Sono comunque disponibile per chiarimenti o suggerimenti sull'allestimento.





Questo è il semplice allestimento scenografico utilizzato per la recita. I pannelli sono realizzati con carta velina colorata ritagliata e incollata su cartelloni bianchi in parte disegnati. Le seggioline sono per i narratori algheresi che sostano davanti alla porta di casa mentre svolgono le loro consuete attività.


Ecco di seguito il testo della recita in algherese. Segue la traduzione in italiano.

PALSUNAGIAS

PASCAROLZ  I  DONAS 

CIÙ CALMINUCCIU
ALFONSO
CIU ASTEVA
CIÀ ANTUNICA

CIÀ ASSUNTINA

CIÀ DOLORETTA

MIGNONAS

ANNUCCIA
MADARENA
RAFELICA

MIGNONZ

VISSENTE
GLIUIS
BASTIANINO

PALSUNAGIAS DEL CONTA

FURISTE'
PANATERI
PANATERA
GIOVA
CRIATURA


La scena ès divirira en duas palz: a la mà reta sa veu un tros dels Bastions ama pascarolz, donas, mignonz. A la scherra hi és lu pais de Balcia. Vè illuminara cara volta la palt ont s’asvulgesc la scena.

Sem als Bastions.
Ès un dia de primavera. Lu sol ès alt i l’aria ès calma. Saguz an carietas o als gradins tres pascarolz cusin la rera, duas donas astanan racamant, i sis mignonz i mignonas giugan. Las mignonas giugan ama la colda i lus mignonz giugan a cavall a una monta.

CIÙ CALMINUCCIU - Cara volta lus grafins ma taglian la rera. No sep mès cosa fe’.

ALFONSO - No na palis! Mira la mia com ès. Tota a furaz. Es tota dasfeta.

ASTEVA - Accu sa pughin dasfè coma Balcia, achescius grafinz che no fanan altru che s’ambruglià a la rera!

ALFONSO - Cosa has dit?

ASTEVA - Che lus grafins sa pughin dasfè coma Balcia!

ALFONSO - I cosa vol dira?

CIÀ ASSUNTINA - I no’l sas? Ah, già ès ver, tu ses vangut de Napuls i no cunescias lu conta de Balcia.

ALFONSO - I com ès achesc conta? Lu vul antrenda.

CALMINUCCIU - És una storia antiga. Quant era patit coma achescius mignonz, ma la racuntava lu iaiu.

ALFONSO - Ma ès un conta glionc assai?

CALMINUCCIU - No, no ès glionc. I va bè, ara ta’l dic.

Calminucciu sa posa mès bè la rera a damunt dels gianols i ascumenza a racuntà.

CALMINUCCIU - Alora … Diu un astòric che tanta, tanta tenz fa, quant l’Alghe’ ancara no asistiva, hi avian dos viragias. S’avisavan Carbia i Balcia.
Lus abitanz dels dos paisus no anavan de coldiu i han fet una gherra che ès durara de mès de vint ans.

Quant las mignonas han antès che Calminucciu asta’ racuntant un fet, sa felman i sa posan a asculta’.

ANNUCCIA - Ascultau, ciù Calminucciu astà dient una rundaglia.

MADARENA - Iò no vul antrenda arrès. Iò vul giugà!

RAFELICA - I ama chi giugas? De sora? Iò no ta puc descià de sora. Aiò, vina tambè tu, anem a asculta’. 

(Pren pe’ ma’ Madarena, che ès la mès patita i s’ès pusara a prurà)

Las mignonas sa posan a custat de Calminucciu che s’ès falmat de racunta’.

RAFELICA - (Palant als mignonz) Aiò, vaniu tambè vusaltrus, che ciù Calminucciu astà racuntant una beglia storia!

VISSENTE - Aiò, anem a ascultà lu conta. Già giughem dasprès.

Lus mignonz descian lus gioz i sa posan a custat de Calminucciu.

CALMINUCCIU - A hi sem toz? Ma vusaltrus già seu algaresus. No’l cunasceu lu conta de Balcia?

RAFELICA – Balcia?

VISSENTE - No, iò no l’è mai antes.

GLIUIS - Ma paresc che l’è antès, ma ara no ma’l racolt.

ANNUCCIA - Aiò, ciù Calminù, raconti.

MADARENA - Iò vul giugà.

RAFELICA - Càgliata mura, o si no buscas.

CALMINUCCIU - Va bè! Alora ascultau toz. I no feu ramo’ i ciaciaras, o si no vu’n cacci.
Astava dient che un tenz antic assai, hi eran dos paisus, Balcia i Carbia, che no sa purivan vera i han fet una gherra che ès durara de mès de vint ans.
A ra fì Carbia ès rasiscira a vinzì la gherra i ha dastruit tot lu pais de Balcia.
Asciò diu un astudiòs de historia.
Ma adamunt de asciò a r’Alghè sa raconta de un fet astraordinari i terribra, sussait al paìs de Balcia. An de mès, a l’Alghe’ ès arrastat un modu de dira, “Che ta pughis dasfe’ coma Balcia”.
Beh, ara continua tu Asteva, che già la sas tambè tu.

ASTEVA - Va bè ara na dic un tros iò.
Balcia era un bel viragia, prè de gent trabagliarora, i alegra.
Era un maitì de istiu, i lus carrels eran toz prenz de vira i de ramolz, com cara dia. Del fol isciva un uro’ de pà fresc, che feva praie’ a l’antrenda.
No era ancara misdia quant nel pais ès arribat un homa furistè, prè de la polz del viaggia, ama un mantell valmell tot asgarrat. Caminava a cap abasciat, dasciant anrera las improntas dels peus dascalzus.

Quant Asteva raconta, las gliumeras sa daspagan i s’anzenan a damunt del pais de Balcia. Tanta gent camina pe’ls carrelz i de la scherra isci un homa ama un mantell valmell.

CIÀ ASSUNTINA - De la front anzesa de la carò hi caievan guteras de sor. Lus morrus eran aspacaz pè la brugior del sol, i el anava ama l’afannu, caminant a mig de la gent che no’l vaieva nimancu.
Aiò, Antunì, continua tu..

CIÀ ANTUNICA - L’homa havia fet un viaggia assai glionc i taniva tambè fam. Però no havia nimancu un ascut. Alora….

L’homa sa felma en un banchet ont un panateri astà vanent lu pa’.

FURISTE’- Bon homa, venc de un glioc assai agliunt, i tenc tanta, tanta fam. Pe’ caritat, donghi-ma un bussinet de pa’.

PANATERI - Vestatan, dasgrassiat. No hi ha pa’ pe ra tu, si no tenz munera! Iscitan legu de nanchì, si no volz cariaras.

FURISTE’- (Ama grassia) Deu ta’l paghi!

(S’acosta al banchet de una dona)

Bona dona, pe’ caritat, un tros de pa’!

PANATERA - Brut delinquent, vestatan si no volz un cop de para!

FURISTE’- Deu ta’l paghi, bona dona!

CIÀ ASSUNTINA - L’homa havia continuat a camInà i un poc mès anvant havia vist una giova iscint de un fol ama’l canistru al cap prè de pà carent. Praniva pe’ ma’ una criatura.
L’homa s’era acustat i l’havia falmara.

FURISTE’ - Bona dona, tenc massa fam. Ma donz un bussì de pà, pe’ caritat?

La dona ha près una coca i l’ha dara a l’homa ama grassia.

GIOVA - Tenghi, bon homa, mengi.

ASTEVA - La dona ha près la criatura pe’ ma’ i ha continuat lu sou camì. Ma l’homa l’ha sighira i l’ha falmara …

FURISTE’ - Bona giova, tu sora an aschesc pais m’has agiurat, i ara ta vul agiurà iò. Ascolta be’ lu che ta dic. Tenz de prenda acheglia astrarò che polta a foras de Balcia. Tu tangaràs de caminà sempra reta, senza ta girà mai anrera, pe’ ninguna raò. Tambè si t’achirran, tu tenz de anar sempra anvant, tambè si antenz ramols o altru.

GIOVA - Ma per cosa ma’n tenc de anar del pais?

FURISTE’ - Ara no tal puc dira. Tu però ma tenz de ascultà i tenz de fe’ lu che t’è dit. Ves, gliestra, sempra anvant, o si no ses paldura, tu i la criatura.

CALMINUCCIU - La giova ha mirat mès bè lus ulls de l’homa i an achel mamentu ha cumprès che taniva de fe’ lu che hi dieva.
Alora ha ascumanzat a camina’ donant las aspallas al pais, salcant de agliunga’ lu pas mès che puriva, quasi astriscinant la criatura che no hi feva mès a sighi’ la mara i sa gliamantava.

CIÀ ANTUNICA- Dasprès de un poc s’ès antès una ramò solda, coma un trò de gliunt, che a poc a poc sa feva sempra mès folt. Un’onda alta coma una muntagna s’era prasantara de l’altra palt de Balcia i havia ascumenzat a distrui’ tot lu che trubava nel sou camì.
La gent che era nels carrels, ne las butigas, ne la prassa, vaient achegli’onda, s’ès pusara a tichirria’, a curri’, i parasceva tota iscira del salvell..

S’antenan tichirrius, prolz, velsus de animalz assustaz, i ramolz de algua.
Ara vè illuminat lu Bastiò.

ANNUCCIA - Ohi chi por! M’asta’ vanint la tuda!

RAFELICA - Ohi babbu meu! Proba gent!

ASTEVA - Calchi u’ salcava de muntà a la taurara, o curriva velsu la muntagna pe’ sa salva’. Tambè lus animals sa muievan senza sabe’ ont anar, i sa amascravan a ma ra gent.
Com a una gliengua glionga glionga, l’onda s’ès divirira nels carrarols, s’ès aglialgara ne la prassa, i s’ès astrignira pe’ antrà ne las poltas i ne las finestras, pe’ isci’ daspres de haver destruit tot.

ANNUCCIA - Ma la giova ama la figlia sa son salvaras de ‘chescia dastrossa?

VISSENTE - I astata mura i descia racuntà!

MADARENA - Ohi chi conta! Altru che rundaglia!

GLIUIS - Ci’Assuntì, no donghi urienza an achescias mignonas, acabi lu conta.

CIA ASSUNTINA - Lu conta acaba ascì.
La giova ha près la criatura al brass i s’és pusara a curri’ sempra mès folt. Antaneva la ramor terribra de l’algua, i havia cumprès che a Balcia era arribara la fì. Prolz, tichirrius, gliamenz de cristians i de animals la fevan dasaspara’.

CIÀ DOLORETTA. - Eglia pansava a toz lus che cunasceva, amiz, parenz … cosa astava sussaint a tota achescia gent? Vuriva mirà, vuriva cumprenda mès bè, ma s’arraculdava las parauras de l’homa: - Ves, gliestra, sempra anvant, o si no ses paldura, tu i la criatura.

CALMINUCCIU - A un seltu mamentu la giova ha antès una veu dasasparara che l’achirrava: - Catarina, Catarina, vina a m’agiurà, no ma descis ananchi’! Vina Catarì, vina!…
Com la giova ha entès lu nom sou, s’ès falmara de cop. Chi l’avisava? No avia cunasciut la veu, ma folsis era la mara, oppuru la gialmana.
Alora eglia no ha pansat mès an arrès, i, vinzira de la pietat ha girat lu cap anrera. Ma … an achel precis mamentu eglia i la criatura sa son trasfurmaras an perra …

Calchi mignona s’asciuga las gliagrimas.

BASTIANINO - Has vist? Gia’l sabiva iò che finiva mal.

ANNUCCIA - Ohi, chi gliastima!…

CIA ANTUNICA - Mès talt l’onda ha paldut la folza i s’és falmara. Al glioc del pais de Balcia ara hi era un gliac. La statua de la giova ama la criatura era rastara al fondu.
I tambè ara, ne las giunaras de sol, quant l’algua ès calma i trasparenta, sa pot rasisci’ a vera al fondu la statua de una dona ama una criatura al bras i un canistru al cap.

ALFONSO - Bel achesc conta. Già vul ana’ a Balcia, a vera achescia statua. Ma vusaltrus l’haveu vista calchi volta?

MIGNONZ I MIGNONAS- Tambè iò vul ana’ a Balcia a vera la statua.

GLIURENZ - Già pughem ana’ un dia a Balcia. Iò no è mai vist arres al fondu, ma almancu mus fem una beglia passaggiara.

RAFELICA - Proba donna. Iò però no ma fora girara mai, pe’ ninguna rao’.

GLIUIS - Si, si, propiu tu! Bufama l’ull.

ANNUCCIA - Ma chi sigarà astat lu furistè?

BASTIANINO - Boh! Selt che sabiva massa cosas.

GLIURENZ - De sagur era un homa che ha dastruit lu pais pe’ culpa dels abitans, che no tanivan bon cor i no agiuravan lus probas i lus che tanivan manaste’.

RAFELICA - Aiò, Madare’, tunem a giugà

MADARENA - Asta nit ma sumic l’onda. Culpa tua! (Rivulginsa a Rafelica)

Lus mignonz raprenan lus gioz. Lus pascarolz i las donas continuan a trabaglià. Sa daspagan totas las gliumeras.




Lago di Baratz



LA CANZO' DE BALCIA
Ritornello
Balcia és calgura nel fondu del gliac
la dona de perra ès ancara anaglià
vusaltrus si anau a de dia o a de nit
tangheu prasent lu ch'ès sussait.


Balcia ès calgura nel fondu del gliac
la dona de perra ès ancara anaglià
ama la creatura astretta abrassara
la nit de gliuna quant l'algua
ès mès crara. Lu sol che tramonta
ont acaba la mar de dia l'agliuinava 


finzas che era astrac
La nit 'l craror de l'astreglia mès gran
tigniva las casas de un vel gran i branc
Ritornello: Balcia ès calgura...
Cara oma al maitì s'an anava al traball
i cara vaì era prè del buldell
las donas rantavan la roba nel riu
la vira passava an manera normal.
Ma 'l cor de ra gent era prè de varè
pe l'odiu ningù feva a l'altru del bè
vinsiva l'anviria 'l rancor, lu pecat
era ora che fossin del sel castigaz.
Ritornello: Balcia ès calgura...
De terra astraniera un proba ès vangut
vistit de straccius un dia che ha prugut
un tros de pà negra a cara'u ha damanat
i no hi ha palsona che n'hi agi dunat.
Una giova mara che an casa tunava
damunt del cap 'l canistru pultava
iscint del fol prè de pà ben carent
n'hi ha dat sol 'u pe'l felu cuntent.
Ritornello: Balcia ès calgura...
Sol tu figlia mia has tangut pietat
i achesc bel ragaru ta sighi tunat
ara curri signora de mès che poz
agliunt de Balcia mès legu che poz.
I mai no ta giris pe' vera ningù
i mai no ta felmis pe' antrenda calchi u
La dona astrigninsa la figlia nel pit
gita 'l canistru che l'oma ha ansistit.
Ritornello: Balcia ès calgura...
Mentras eglia fugi rarera la schena
anten so' de passus che aschician la rena
ramols de mar prols de gent
sons de campanas dastrossas de vent.
Un trò gran pauros i tichirrius a prop
sa gira i de perra diventa de cop
ès l'algua de Balcia che tot ha tapat
i mès ningù anaglì s'es trubat.

Ritornello Balcia ès calgura...

LA LEGGENDA DI BARATZ   - TRADUZIONE IN ITALIANO


Personaggi narratori:
Pescatori: ciù Calminucciu, ciù Asteva e Alfonso
Donne: Cià Assuntina, cià Antunica
Bambine: Annuccia, Madarena, Rafelica
Bambini: Vissente, Gliuis, Bastianino

Personaggi della leggenda:
Forestiero, panettiere, panettiera, giovane donna, bambina

La scena è divisa in due parti: alla destra si vede uno scorcio dei Bastioni con pescatori, donne, bambini. Alla sinistra c'è il paese di Baratz. Ogni volta viene illuminata la parte dove si svolge la scena.
Siamo ai Bastioni negli anni cinquanta.
È una giornata primaverile. Il sole è alto nel cielo e l'aria è calma. Seduti alcuni su seggioline e altri sul gradino di casa, tre pescatori cuciono le reti, due donne stanno ricamando, tre bambini giocano a cavall a una monta e tre bambine giocano a peu cossu.



Scena originale del paese di Baratz. Davanti alla scena agiscono gli abitanti di Baratz.

Baratz con i due forni del pane. 
Questa versione è stata ritoccata con photoshop.

Ciù Calminucciu - Tutte le volte i delfini mi tagliano la rete. Non so più cosa fare.
Alfonso - Ma non parlarmene! Guarda come è la mia! Tutta a buchi, è tutta distrutta.
Ciù Asteva - Che si possano distruggere come Baratz, questi delfini che non fanno altro che imbrogliarsi nella rete.
Alfonso - Cosa hai detto?
Ciù Asteva - Che i delfini si possano distruggere come Baratz!
Alfonso - E che cosa vuol dire?
Cià Assuntina - Ma non lo sai? Ah, è vero, tu sei venuto da Napoli e non conosci la leggenda di Baratz.
Alfonso - E come è questa leggenda? La voglio sentire.
Ciù Calminucciu - E' una vecchia leggenda. Quando io ero piccolo come questi bambini ma la raccontava mio nonno.
Alfonso - Ma è una storia molto lunga?
Ciù Calminucciu - No, non è lunga. E va bene, ora racconto.
Ciù Calminucciu (sistema meglio la rete sopra le ginocchia ed inizia il suo racconto) - Allora ... uno storico dice che tanto, tanto tempo fa, quando Alghero non esisteva ancora, c'erano due villaggi: Si chiamavano Carbia e Baratz. Gli abitanti dei due paesi non andavano d'accordo e hanno fatto una guerra che è durata per più di venti anni.
I bambini sentendo che Ciù Calminucciu sta raccontando una storia, interrompono il gioco e si mettono ad ascoltare.
Annuccia - Ascoltate, Ciù Calminucciu sta raccontando una favola!
Madarena - Io non voglio sentire niente! Io voglio giocare!
Rafelica - E con chi giochi? Da sola? Io non ti posso lasciare da sola perché sei piccola e ti devo guardare. Aiò, vieni anche tu ad ascoltare. (Prende per mano Madarena, che si mette a piangere).
Le bambine si mettono accanto a ciù Calminucciu che intanto si è fermato nel racconto.
Rafelica  (parlando con i maschietti) - Aiò, venite anche voi, che ciù Calminucciu sta raccontando una bella storia!
Vissente - Aiò, andiamo ad ascoltare il racconto. Già giochiamo dopo!
I bambini lasciano il gioco e si mettono vicini a Ciù Calminucciu.
Ciù Calminucciu - Ci siamo tutti? Ma voi già siete algheresi. Non conoscete la leggenda di Baratz?
Rafelica - Baratz?

Vissente - No, io non l'ho mai sentita.
Gliuis - Mi sembra di averla già sentita, ma adesso non me la ricordo.
Annuccia - Aiò, ciù Calminu', racconti.
Madarena - Io voglio giocare.
Rafelica - Statti zitta, altrimenti buschi.
Ciù Calminucciu - Va bene! Allora ascoltate tutti. E non fate rumori o chiacchiere, altrimenti vi caccio.
Stavo raccontando che in un tempo molto antico c'erano due paesi, Baratz e Carbia che si odiavano e hanno fatto una guerra durata più di vent'anni. Alla fine Carbia è riuscita a vincere la guerra e ha distrutto tutto il paese di Baratz. Questo dice uno studioso di storia.
Ma sopra questo fatto ad Alghero si racconta una storia straordinaria e terribile, successa al paese di Baratz. Per di più ad Alghero è rimasto un modo di dire: "Che ta pughis dasfè coma Balcia" (Che ti possa distruggere come Baratz). Beh, ora continua tu, Asteva, che la conosci anche tu...
Asteva - Va bene, ora ne racconto un po' io. Baratz era un bel villaggio, pieno di gente lavoratrice e allegra. Era un mattino d'estate, e le strade erano tutte piene di vita e di rumori, come ogni giorno. Dal forno si spandeva un odore di pane fresco che faceva piacere sentirlo.
Non era ancora mezzogiorno quando nel paese è arrivato un forestiero, pieno della polvere del viaggio, con un mantello rosso tutto a brandelli. Camminava a capo chino, lasciano dietro di sé le impronte dei piedi scalzi.
Mentre Asteva racconta, si spengono le luci sui narratori e si accendono per illuminare il paese di Baratz. Tanta gente cammina per la strada e dalla sinistra esce un uomo con un mantello rosso.
Cià Assuntina - Dalla fronte bruciata dal sole gli cadevano gocce di sudore. Le labbra erano spaccate per la  sete e lui camminava con affanno in mezzo alla gente che non lo vedeva nemmeno.
Cià Antunica - L'uomo aveva fatto un viaggio molto lungo ed aveva anche tanta fame. Ma non aveva nemmeno un centesimo. Allora...
L'uomo si ferma presso il banco dove un Panettiere sta vendendo il pane.
Forestiero - Buon uomo, vengo da un luogo molto lontano e ho tanta, tanta fame. Non ho soldi per pagare ma per carità, datemi un pezzetto di pane ...
Panettiere - Vattene, disgraziato! Non c'è pane per te, se non hai soldi! Vattene in fretta da qui, se non vuoi bastonate.
Forestiero - (con grazia) Dio te lo paghi!
Si avvicina al banco di una donna
Forestiero - Buona donna, per carità, un pezzo di pane!
Panettiera - Brutto delinquente, vattene se non vuoi un colpo di pala!
Forestiero - Dio te lo paghi, buona donna!
Cià Assuntina - L'uomo aveva continuato a camminare e un po' più avanti aveva visto una giovane donna che usciva da un forno portando sulla testa un canestro pieno di pane ancora caldo. Teneva per mano una bambinetta. L'uomo si era avvicinato e l'aveva fermata.
Forestiero - Buona donna, ho troppa fame. Mi dai un pezzetto di pane, per carità?
La donna ha preso una focaccia e l'ha data all'uomo con grazia.
Donna - Tenga, buon uomo, mangi.
Asteva - La donna aveva ripreso la bambina per la mano e aveva continuato la sua strada. Ma l'uomo l'aveva seguita e fermata.
Forestiero - Buona donna, solo tu in questo paese mi hai aiutato, e adesso ti voglio aiutare io. Ascolta bene ciò che sto per dirti. Devi prendere quella strada che porta fuori da Baratz. Dovrai camminare sempre dritta, senza girarti mai indietro, per nessuna ragione. Anche se ti chiamano, tu devi andare sempre avanti, anche se senti rumori o altro.
Donna - Ma perché devo andarmene dal mio paese?
Forestiero - Adesso non te lo posso dire. Tu però devi ascoltarmi e devi fare ciò che ti dico. Vai veloce, sempre avanti o sei perduta, tu e la bambina.
Ciù Calminucciu - La giovane donna ha guardato fissa gli occhi dell'uomo e in quel momento ha capito che doveva fare ciò che lui diceva. Allora ha iniziato a camminare dando le spalle al paese, cercando di allungare il passo più che poteva, quasi trascinando la bambina che non riusciva a seguire la madre e si lamentava.

Cià Antunica - Poco dopo aver lasciato il villaggio la donna ha sentito un mormorio sordo, come un tuono da lontano, che si faceva sempre più forte. Un'onda alta come una montagna si è presentata dall'altra parte di Baratz, e aveva cominciato a distruggere tutto ciò che trovava al suo passaggio.
La gente che era nelle strade, nelle botteghe, nella piazza, vedendo quell'onda si è messa a gridare, a correre, e sembrava tutta impazzita.
Si sentono grida, pianti, versi di animali terrorizzati, e rumori di un'onda che corre.
Ora la luce illumina i narratori.
Annuccia - Ohi che paura! Mi sta venendo la pelle d'oca!
Rafelica - Ohi babbo mio! Povera gente!
Asteva - Qualcuno cercava di salire sul tetto, o correva verso le alture per salvarsi. Anche gli animali si muovevano senza sapere dove andare e si mescolavano alla folla in fuga. Come una lingua lunghissima, l'onda si è divisa nelle strade, si è allargata nella piazza, e si è ristretta per entrare nelle case dalle porte e dalle finestre, per uscire dopo aver distrutto tutto.
Annuccia - Ma la madre con la figlia si sono salvate da questo disastro?
Vissente - E statti zitta e lascia raccontare!
Madarena - Ohi che racconto! Altro che favola!
Gliuis - Ci'Assunti', non stia a sentire a queste bambine, concluda il racconto.
Cià Assuntina - Il racconto si conclude così. La giovane donna ha preso la bambina in braccio e si è messa a correre sempre più forte. Sentiva alle sue spalle il rumore terribile dell'acqua, e aveva capito che per Baratz era arrivata la fine. Pianti, grida, lamenti di cristiani e di animali la facevano disperare.
Cià Antunica - Lei pensava a tutti quelli che conosceva, amici, parenti ... cosa stava succedendo a tutta quella gente? Voleva guardare, voleva capire meglio, ma ricordava le parole dell'uomo "Vai veloce, sempre avanti, o sei perduta tu e la bambina"
Ciù Calminucciu - Ad un certo momento la giovane ha sentito una voce disperata che la chiamava: "Caterina, Caterina, vieni ad aiutarmi, non lasciarmi qui a morire! Vieni, Caterina, vieni!"
Quando la giovane ha sentito il suo nome, si è fermata di colpo. Chi la chiamava? Non aveva riconosciuto la voce, ma forse era la madre, oppure la sorella. Allora non ha pensato più a nulla, e vinta dalla pietà ha voltato il capo all'indietro. Ma ... in quel preciso momento lei e la sua bambina sono diventate di pietra.
Qualche bambina si asciuga le lacrime
Bastianino - Hai visto? Io lo sapevo che sarebbe finita male.
Annuccia - Oh, che pena!...
Cià Antunica - Più tardi l'onda ha perduto la sua forza e si è fermata. Dove prima sorgeva il paese di Baratz adesso c'era un lago. La statua della madre con la bambina era rimasta sul fondo. Ed ancora oggi, nelle giornate di sole, quando l 'acqua è calma e trasparente, si può riuscire a vedere sul fondo del lago la statua di una donna con una bambina in braccio e un canestro sulla testa.
Alfonso - Bella questa storia. Vorrei proprio andare a Baratz per vedere questa statua. Ma voi l'avete vista qualche volta?
Rafelica - Anche io voglio andare a Baratz per vedere la statua.
Gliurenz - Certo, possiamo andare un giorno a Baratz. Io non ho mai visto niente sul fondo, ma almeno ci facciamo una bella passeggiata.
Rafelica - Povera donna. Io però non mi sarei girata mai, per nessun motivo...
Gliuis - Si, si, proprio tu! Soffiami l'occhio.
Annuccia - Ma chi sarà stato il forestiero?
Bastianino - Boh! Certo che sapeva troppe cose.
Gliurenz - Di sicuro era un uomo che ha distrutto il paese per colpa degli abitanti, che non avevano buon cuore e non aiutavano i poveri e quelli che avevano bisogno.
Rafelica - Aiò, Madarè, torniamo a giocare.
Madarena - Vedrai che stanotte mi sogno l'onda. Colpa tua!
I bambini riprendono i giochi. I pescatori e le donne continuano a lavorare. Si spengono tutte le luci.



Casa dei Bastioni - Scena originale



Casa dei bastioni. 
Foto ritoccata con photoshop.

La rappresentazione si conclude con un coro di tutti i bambini che cantano "Lu conta de Balcia" canzone scritta da Franco Ceravola e musicata da Enrico Ceravola. La traduzione in italiano è letterale.

La canzone di Baratz
Ritornello
Baratz è caduta / nel fondo del lago / la donna di pietra  / è ancora là
voi se andate / di giorno o di notte / tenete presente / ciò che è successo.

Baratz è caduta / nel fondo del lago / la donna di pietra / è ancora là
con la bambina / stretta abbracciata / la notte di luna / quando l'acqua
è più chiara. / Il sole tramonta / dove finisce il mare / di giorno l'abbagliava
sino a quando era stanco. / La notte il chiarore / della stella più grande
colorava le case / di un velo grande e bianco.

Ritornello - Baratz è caduta ...

Ogni uomo al mattino / Andava al lavoro / e ogni vicolo / era pieno di chiasso
le donne lavavano  / i panni al ruscello / la vita passava / in maniera normale.
Ma il cuore della gente / era pieno di veleno / per l'odio nessuno / faceva all'altro del bene
vinceva l'invidia / il rancore, il peccato. / Era ora che fossero / dal cielo castigato.

Ritornello - Baratz è caduta ...

Da terra straniera / un povero è venuto / vestito di stracci / un giorno di pioggia
un pezzo di pane nero / ha chiesto ad ognuno / non c'è persona  / che gliene abbia dato.
Una giovane madre / che tornava a casa / sopra la testa / portava un canestro
pieno di pane ben caldo / gliene ha dato uno solo / per farlo contento.

Ritornello - Baratz è caduta ...

Solo tu figlia mia / hai avuto pietà / e questo bel regalo / ti sia restituito
ora corri signora / più che puoi / lontano da Baratz / più in fretta che puoi
e non girarti mai / per vedere nessuno / e non fermarti mai / per sentire qualcuno
La donna stringendosi / la figlia al petto / getta il canestro / che l'uomo ha insistito.

Ritornello - Baratz è caduta ...

Mentre lei fugge / dietro la schiena / sente suoni di passi / che schiacciano la sabbia
rumori di mare / pianti di gente  / suoni di campane / disastro di vento
Un tuono grande pauroso / e grida vicino / si gira e di pietra / diventa di colpo
è l'acqua di Baratz / che tutto ha coperto / e più nessuno / là si è trovato

Ritornello - Baratz è caduta ...

Si possono trovare altre notizie nel blog