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giovedì 16 novembre 2017

Monte d'Accoddi




ANNO SCOLASTICO 2005-2006
(Progetto dell'ins. Giovanna Tilocca)
Questo lavoro è stato realizzato sotto forma di Cd, per cui nel testo sono rimaste alcune caratteristiche, come ad esempio i riferimenti ai collegamenti ipertestuali.



























L’incontro con gli esperti

Il 17 dicembre 2005 sono venuti a scuola Alberto Gavini, laureato in lettere con indirizzo archeologico e Barbara Cervera, laureanda,  entrambi esperti di scavi archeologici.

Loro ci hanno parlato dell’archeologia in generale e di Monte d’Accoddi in particolare. Come potete vedere dalle foto, li abbiamo accolti nella Sala Video della nostra scuola. Li abbiamo ascoltati con attenzione ed abbiamo preso appunti.

Abbiamo così scoperto che la parola “ziqqurath” significa “le terrazze”. Alberto ci ha anche ricordato che le ziqqurath della Mesopotamia sono fatte di mattoni d’argilla. Ci ha detto inoltre che la ceramica (argilla modellata e cotta in un forno)  è molto importante perché rimane, anche se si rompe, e per gli archeologi è un indispensabile “fossile-guida” poiché li aiuta a capire il periodo in cui sono stati frequentati i siti che stanno scavando.

Il sito di Monte d’Accoddi è stato scavato da Ercole Contu, uno dei più importanti archeologi sardi viventi.

CHE COSA E'?

Il Monte d’Accoddi è un monumento legato alla religione ed appartiene al periodo eneolitico, che sarebbe l’età del Rame che in Sardegna va dal 3200 a.C. al 1600 a.C. (5200 - 3600 anni fa)
Per intenderci meglio, l’età del Rame è il periodo nel quale è vissuto Oetzi, la mummia del Similaun, che aveva, tra gli altri oggetti, un’accetta con la lama di rame.
Il monte d’Accoddi  è un santuario che anticamente attirava numerosi fedeli da un vasto territorio. Per ora, è un monumento unico in tutto il Mediterraneo, nel senso che, a tutt’oggi, non se ne conoscono altri simili.

Nel luogo ci sono anche menhir, cioè lastre di pietra infisse nel terreno che sono il simbolo e la raffigurazione di divinità maschili o femminili. 
In altri siti sardi i menhir femminili si distinguono perché vi è scolpito il seno, segno di maternità.
I menhir sono diffusi in tutta l’Europa.

Gli archeologi definiscono Monte d’Accoddi  “Monte di Pietra” poiché per costruirlo sono stati impiegati moltissimi massi, alcuni di dimensioni ragguardevoli (megaliti).
Nei tempi lontani nel santuario si facevano sacrifici, cioè si offriva alla divinità una parte del raccolto o del bestiame.
Questo ci fa capire che in quel lontano periodo le attività principali degli abitanti del territorio, come di tutta la Sardegna, erano la coltivazione del terreno e l’allevamento del bestiame.
Mentre Alberto ci parla di tempi tanto antichi, Barbara va alla lavagna e scrive, così noi possiamo prendere i nostri appunti senza sbagliare.

Infine chiediamo:
Chi ha costruito Monte d’Accoddi?

Alberto ci espone due teorie:
1.  Vi sono stati contatti diretti o indiretti con gli abitanti della Mesopotamia.

2.  Le antiche popolazioni sarde hanno costruito il monumento senza imitarne altri, ispirati dal desiderio di fare cosa gradita alla loro divinità.

Purtroppo i Sardi in quel periodo non conoscevano o non usavano la scrittura e quindi non ci sono pervenuti documenti in grado di rispondere alle nostre domande.

LA VISITA AL SITO

Quando è arrivato il calendario per prenotare lo scuolabus per le visite guidate le nostre maestre hanno indicato il 29 novembre da utilizzare per una visita a Monte D’Accoddi. Ma poi è successo che proprio quel giorno avevamo le prove dell’Invalsi ed allora abbiamo rimandato al 20 dicembre. Poco male, perché il 29 novembre diluviava.

Ma ahimè, il maltempo ci ha perseguitato per tutto il mese di dicembre e allora le maestre hanno pensato bene di accordarsi nella seguente maniera: in caso di pioggia non andremo al sito, ma visiteremo la sezione “Monte d’Accoddi” del Museo Sanna guidati da un archeologo della cooperativa Thellus che si occupa anche delle visite al sito.

Il 19 dicembre il cielo era azzurro e terso come non mai. Buon segno! Purtroppo un violento acquazzone ci ha risvegliato durante la notte e l’illusione di poter seguire il nostro programma è svanita.

La mattina del 20 il cielo era decisamente coperto ma noi, salendo sullo scuolabus, abbiamo deciso di tentare. Durante il viaggio vedevamo cadere rade gocce di pioggia. 

Arrivati a Monte d’Accoddi siamo scesi dallo scuolabus mentre le gocce aumentavano sensibilmente. Ci è venuta incontro una guida e ci ha comunicato che  non potevamo avvicinarci al monumento perché il terreno era molto fangoso; ha poi aggiunto che ci aspettavano al Museo.

Molto delusi, siamo risaliti sullo scuolabus e siamo andati al Museo.


Franco ci ha parlato del popolamento della Sardegna nel Paleolitico. Infatti 500 mila anni fa, nella zona di Perfugas dove abbonda la selce, antichissimi appartenenti al genere Homo hanno lasciato numerosi ciottoli scheggiati presso il Rio Altana.

Ma noi questo lo sapevamo già perché lo scorso anno siamo andati al museo di Perfugas ed abbiamo partecipato ad un laboratorio di scheggiatura della pietra. 
A Perfugas Lorenzo ci ha fatto vedere come si scheggiano le pietre per ottenere utensili ed armi.
Ci ha fatto anche provare a scheggiare le pietre e alla fine ci ha dato le schegge ottenute col nostro lavoro.


Poi Franco ci ha parlato del Neolitico, quando i Sardi vivevano in villaggi di capanne.

Anche nel sito di Monte d’Accoddi si è trovato un antico villaggio di capanne rotonde che è stato popolato 4500 anni a.C.

Più tardi, intorno al 3500 a.C. quando in tutta l’Isola si è diffusa una cultura unitaria, chiamata Cultura di Ozieri, nella pianura è sorto un nuovo villaggio fatto di capanne quadrangolari.

Qualcuno di noi chiede: “Ma come facciamo a sapere queste cose?”

Franco risponde che queste notizie le abbiamo ricavate studiando tutto ciò che gli abitanti gettavano, in pratica abbiamo frugato nella loro “spazzatura” costituita da cocci di vaso.

A questo punto ci siamo ricordati che Alberto ci aveva detto che la ceramica è un  indispensabile “fossile-guida”. Ora abbiamo capito meglio che cosa voleva dire.



Franco ha continuato dicendo che il legno si deteriora con il tempo, e rimangono solo le pietre e la ceramica.

Poi ci ha mostrato un pugnale di pietra con il manico di cervo.


Grazie alla fertilità del suolo il villaggio è cresciuto e 3.500 anni a.C. tra le capanne si è creata una piazza  dove è collocato il menhir maschile e la grande tavola sacrificale. Si sa che i popoli neolitici, all’inizio della primavera, facevano feste per il risveglio della natura. Forse proprio per celebrare meglio queste feste, 3.300 anni a.C. nel villaggio è stato costruito un gradone alto 5 metri con una rampa lunga 25 metri e con una capanna proprio sulla cima. La costruzione era colorata di rosso, per simboleggiare la vita e per essere ben visibile anche da lontano.
Infatti non dobbiamo dimenticare che il sito sorge in una pianura piatta dove lo sguardo spazia tutto intorno senza ostacoli.
Possiamo immaginare che la capanna fosse il luogo dove il sacerdote riceveva le offerte dei fedeli.
Pare che questo fosse, per quei tempi, il villaggio più importante della Nurra, dove arrivavano materie prime e quindi c’era scambio di merci.
Per esempio arrivava l’ossidiana che proveniva dal Monte Arci (presso Oristano) ed era commerciata in tutta la Sardegna e oltre il mare.

Nel 3.000 a.C. però un incendio ha distrutto il villaggio che è stato abbandonato. Ma intorno al 2.700 a.C. sulle strutture del Tempio Rosso si è realizzato un altare alto 9 metri, con una rampa lunga 42 metri. Si sono utilizzate grandi pietre poste una sull’altra a secco e non c’è traccia di intonaco. 

Sulla sommità molto probabilmente si trovava una costruzione con funzioni analoghe alla precedente capanna rossa.
Il villaggio fu abitato fino al 1.800 a.C. come testimoniano i  i numerosi reperti trovati durante gli scavi archeologici.

Alle soglie dell’età nuragica il sito fu abbandonato e le sue strutture si sono coperte di terra e di vegetazione. Solo nel 1952 la collinetta è stata scavata e ha mostrato ciò che nascondeva: un antico santuario che aveva tante vicende del passato da raccontare.













Abbiamo visto la videocassetta e infine la maestra ci ha chiesto che cosa si può fare perché questo monumento così importante possa essere conosciuto come merita. 

Marzia ha proposto di fare dei volantini da distribuire in giro per le strade.

Irma ha aggiunto che possiamo dirlo ai nostri genitori, ai parenti e agli amici.

Elisabetta ha suggerito di organizzare una gita per visitare il monumento.


Tutti abbiamo pensato che potremmo chiedere ai nostri genitori di andare a visitarlo. Tra i nostri genitori solo una mamma lo conosce e lo ha visto. 

Delle costruzioni e degli oggetti del sito ci hanno  colpito maggiormente:
1.  la tavola sacrificale  
2. La pietra rotonda come un ombelico
3. La ziqqurath
4. Le collane e i pezzi di vaso
5. le ossa fossilizzate
6. Il menhir
7. Come hanno colorato il Tempio Rosso

8. La scalinata del tempio



È curioso vedere come un luogo tanto importante nel passato sia stato poi completamente abbandonato. Infatti dall’inizio del periodo nuragico (1800/1600 a. C.) la pianura è divenuta un territorio frequentato solo da pastori e greggi di pecore, e così è ancora oggi.
La presenza di numerose necropoli neolitiche ci fa capire quanto la bella e ricca pianura fosse popolata 6000/7000 anni fa.
L’area del Santuario era tanto estesa e dotata di tali elementi sacri come i menhir, l’omphalos, le tavole sacrificali, da farci immaginare grandi raduni di pellegrini che giungevano anche da luoghi molto lontani per celebrare riti sacri, fare numerose e ricche offerte, rinnovare richieste e ringraziamenti al dio.
La costruzione stessa di un santuario tanto grande ci fa pensare che tra gli abitanti del luogo si sia stabilita una stretta unione, tanto da impegnarli in un lavoro così lungo e faticoso. Ci piacerebbe veramente sapere se l’idea dell’altare a gradoni è nata dal loro desiderio di avvicinarsi alla divinità o se  è stata frutto di suggerimenti dati da genti che provenivano dalla Mesopotamia o dall’Egitto.
Per il momento dobbiamo accontentarci soltanto delle notizie documentate. Chissà che un domani non si riesca a svelare anche questo inquietante mistero...

Ora che conosciamo tante notizie di un bel monumento della nostra terra speriamo di andare a visitarlo al più presto in una bella giornata di sole.

Siamo convinti di aver dato un buon contributo alla valorizzazione del monumento perché il nostro Cd potrà essere visto da tante persone appassionate di archeologia.

Inoltre l’associazione archeologica Tholos della quale fanno parte Alberto e Barbara potrebbe mostrare il nostro lavoro per cercare di estendere la conoscenza del sito agli algheresi e ai tanti turisti che ogni anno vengono a visitare il nostro territorio.

E poi noi siamo contenti di far vedere il nostro sito a persone che forse lo conoscono già, ma che ora lo vedranno attraverso i nostri disegni, le nostre foto e le nostre parole. 


AL LAVORO!

Siamo arrivati all'ultima fase del nostro progetto.

 La maestra ci aiuta a riordinare le idee e gli appunti. Inoltre noi facciamo delle ricerche a casa.
Infine  disegniamo i vari momenti del sito. 

Ricerca  

Il santuario preistorico di Mante d’Accoddi fu scoperto nel corso delle grandi campagne di scavo del secondo dopoguerra. Per l’originalità della sua tipologia è l’unico esempio di grande altare megalitico conosciuto in tutto il Mediterraneo Occidentale. La tecnica costruttiva anticipa l’architettura della successiva Età Nuragica.
 La grandiosa costruzione, che si fa risalire all’Età del rame (2450-1850 circa a. C.) è costituita da un enorme cumulo di pietre e terra  di forma originariamente troncopiramidale a base trapezoidale analogalmente alle “ziqqurath” mesopotamiche, sorretta da murature a secco di grandi blocchi di pietra non squadrati. Sul lato Sud una rampa permette di salire sulla sommità dell’altare che raggiunge un’altezza di m.10, con un perimetro di 37,50 x 30,50.

Si suppone che assolvesse a una funzione sacrale: sulla sua sommità (galgal) si celebravano probabilmente i riti propiziatori della fecondità della terra, ma altre ipotesi lo collegano al culto dei morti.

Un’area sacra si trovava nel luogo stesso dove fu eretta la piramide. Questo primitivo santuario, certamente riferibile alla Cultura di Ozieri nel Neolitico tardo venne in parte ricoperto dalla costruzione della prima rampa e della prima piramide che culminava con un’ampia spianata sulla quale era eretto un edificio rettangolare, che doveva rappresentare il principale oggetto di culto - il sacello -   come nelle ziqqurath del vicino Oriente. 
Di questa  struttura, intonacata e affrescata con colore rosso e ocra, rimangono il pavimento e il muro perimetrale, fiancheggiato interamente da due buche di palo pertinenti ad un piccolo portico.
Dai lati restituiti dallo scavo risulta che la prima piramide con il sacello vennero distrutti da un incendio, dopo il quale essa venne ricoperta da strati di terra e pietre assestate con un complesso sistema di cassoni radiali.

Venne eretto un nuovo luogo di culto sopraelevato di diversi metri, mentre anche la piramide e la rampa venivano ricostruiti e ampliati.


I personaggi dei nostri disegni parlano nella loro antica lingua che solo noi conosciamo.
La traduzione si trova nei fumetti scritti in rosso.



I FASE
NEOLITICO MEDIO  -  6200 ANNI FA / 4200 A.C.










II FASE
FINE DEL NEOLITICO  -  5500 ANNI FA / 3500 A.C.










III FASE
ENEOLITICO ANTICO  -  5200 ANNI FA / 3200 A.C.








IV  FASE





V FASE

ENEOLITICO MEDIO  -  4800 ANNI FA / 2800 A.C.







OGGI

Ricostruzione ideale del santuario con il tempietto in cima.















BIBLIOGRAFIA
 (Testi consultati per ricavare notizie, illustrazioni, cartine … )


Giacimenti culturali Itinerari didattici di Maria Ausilia Fadda e altri, 1998
L’altare preistorico di Monte d’Accoddi di Ercole Contu,  Carlo Delfino Editore, 2000
Dizionario di Archeologia di Warwick Bray e David Trump, Oscar Studio Mondadori, 1973
Nuovi lineamenti di Geografia Generale di Paolo Roberto Federici e Luciano Axianas,Editore Bulgarini,  1984
Geologia di Manuel Font Altaba e altri, Edizioni Giunti, 2000
Conoscere i minerali di Roberto Zorzin,  Edizioni Demetra, 2000
Viaggio nel tempo - Evoluzione dell’uomo nella preistoria- Letture da “Le Scienze”(Scientific American), 1976
Mitologia  a cura di Carlo Cordié, Le Garzantine, 2004
La civiltà dei Sardi dal Neolitico all’Età Nuragica  di Giovanni Lilliu,   Edizioni Eri, 1975  
Archeologia della Bibbia di André Parrot,  Newton Compton Editori, 1978
Rivista “Archeologia Viva”
Diccionari Català de l’Alguer di Josep Sanna,  L’Alguer, 1988



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